Il premier «incassatore»: io non rappresento lobby
«Siamo un Paese fondatore, non possiamo essere trattati così»
ROMA Ha incassato, a lungo, come sanno fare i pugili che si allenano anche per questo. È apparso imbarazzato, contrito, stupito, a tratti disorientato. Ma non ha perso la pazienza, come accadde a Berlusconi di fronte agli attacchi del tedesco Schultz.
Di fronte a chi gli dava del burattino di Salvini e Di Maio, al tedesco Weber che gli rinfacciava una politica economica da fanalino d’europa, di fronte al socialista che gli diceva di lasciare in pace gli italiani, di togliere il disturbo per non arrecare altro danno, Giuseppe Conte a lungo ha incassato. E si è rotto anche un presunto idillio, sin qui non era mai stato colpito all’estero dalle polemiche politiche, dalla lite continua dei suoi due vicepremier con la Ue, poi di colpo nell’aula di Strasburgo
L’incontro L’incontro a fine giornata con gli eurodeputati italiani di tutti gli schieramenti
ci è finito in mezzo senza avvertimenti, è stato investito tutto d’un colpo, prima dal liberale, poi dal socialista, infine dal popolare. Tutti contro di lui, come in un processo all’uomo e all’italia.
Eppure, alla fine, prima che suonassero il gong, Giuseppe Conte si è concesso una ripresa non scontata. Al leader dei liberali Guy Verhofstadt, che lo ha definito «burattino», non le ha mandate a dire: «Io non sono un burattino, e non rappresento lobby o comitati d’affari». Dalla difesa è passato all’attacco. «Alcune parole non sono nemmeno degne di un commento o di una risposta. Avete offeso un Paese, non me». E infine la stoccata finale, quel paragone, ancorché scivoloso, con Berlusconi: «Avete ironizzato per un mio fuorionda con la Merkel, illegittimamente rubato, ma non vi siete vergognati quando erano altri a fare certi apprezzamenti sulla Merkel».
Dopo un processo parlamentare inedito, a tratti violento, anche se in un’aula quasi deserta, dopo aver subito gli applausi di scherno, Conte si concede una pausa con gli italiani che ci rappresentano fra Bruxelles e Strasburgo. Li vede in una saletta del palazzo del Parlamento, ci sono i grillini, vecchi leghisti come Mario Borghezio, ma anche Sergio Cofferati e Raffaele Fitto, che pure non ha fatto un intervento tenero in Aula.
Riceve un bacio da Alessandra Mussolini, poi si rivolge a tutti: «Capisco che ci possa essere dialettica, critica, anche aspra, ma non possiamo essere trattati in questo modo come Paese fondatore della Ue, non si possono tollerare alcune degenerazioni che ho visto oggi e che non sono una bella pagina di dibattito parlamentare», dice rivolto a tutti, sia a coloro che lo applaudono, gli fanno i complimenti per la replica, sia agli esponenti di Forza Italia e del Pd.
Poi, alla fine, dice anche una cosa che sembra un richiamo generale, «non dobbiamo avere vergogna di dire la parola Patria, la dobbiamo riscoprire». Alcuni applaudono, altri lo prendono in giro, sembra un volemose bene dopo un pomeriggio che non si aspettava. Come non si aspettava che persino il rappresentante della Grecia lo richiamasse, senza giri di parole: «Guardi presidente Conte che sto parlando in greco, quindi non è possibile che lei mi capisca, la prego di rimettersi le cuffie per rispetto del mio intervento».