«Diritti umani violati a Barcellona» La parola alla difesa indipendentista
Al via «il processo del secolo» in Spagna, mentre il governo Sánchez rischia in Parlamento
È cominciato a Madrid il «processo del secolo» al separatismo catalano. Un dramma umano per gli imputati che rischiano decenni di cella, ma anche una vetrina per l’indipendentismo e persino un test per la democrazia spagnola impegnata a mostrare la massima trasparenza e correttezza. Ieri però gli spagnoli sono stati obbligati a fare zapping tra l’aula del Tribunale Supremo e quella del Parlamento.
Da una parte gli avvocati dei 12 politici catalani sotto accusa parlavano di «diritti umani, politici, legali e civili» violati dallo stesso procedimento giudiziario e mettevano così le basi per un futuro ricorso al Tribunale per i diritti dell’uomo di Strasburgo.
Dall’altra, l’opposizione attaccava il primo ministro socialista Pedro Sánchez pregustando la sua sconfitta parlamentare. «Indegno» e «traditore» erano gli epiteti più gentili. La colpa di Sánchez, secondo il centro-destra, è quella di aver «umiliato lo Stato» tentando di negoziare con i catalani. Per paradosso, i catalani sono pronti a far cadere il suo governo perché lo stesso Sánchez non ha trattato abbastanza con loro.
Il risultato è che il premier socialista si presenta oggi alle Cortes senza i voti necessari per far approvare l’impianto generale della Finanziaria 2019. Sánchez ha twittato: «Le destre e gli indipendentisti vogliono la stessa cosa: una Spagna divisa e una Catalogna divisa». La sua ministro delle Finanze, María Jesús Montero, è stata più esplicita: «Non cederemo ai ricatti».
Il vantaggio di elezioni anticipate è nella campagna elettorale. Tutte le proposte (dalla repressione, al compromesso, alla concessione del referendum d’indipendenza) potrebbero essere esplicitamente discusse e scelte dai cittadini. Il problema è che nessuno sembra sapere come risolvere pacificamente il problema. Il pallino resta comunque a Sánchez, il solo a poter sciogliere le Camere.
Mentre Sánchez affronterà il voto parlamentare, alla sbarra dovrebbe deporre il principale politico catalano sotto accusa: Oriol Junqueras, ex vice presidente di quel governo che ha approvato la Dichiarazione unilaterale d’indipendenza nell’ottobre del 2017. Junqueras è da allora in carcere preventivo con l’accusa di «ribellione» violenta ai danni dello Stato. Rischia 30 anni. Avrà gioco facile nel gridare alla sproporzione tra misure cautelari e una violenza mai perpetrata.