Corriere della Sera

LO SCONTRO LEGA-M5S: CHI PAGA È IL PAESE

- Di Dario Di Vico SEGUE DALLA PRIMA

F ormalmente la ripresa dei lavori della Tav non faceva parte del contratto ma dopo un’iniziale freddezza i leghisti del Nord hanno cominciato a presidiare anche quest’area di consenso pur di non perdere la presa con la piazza e gli imprendito­ri torinesi, e alla fine appaiono anch’essi vittime del verdetto del professor Marco Ponti.

L’effetto concreto della divaricazi­one di obiettivi e di comportame­nti politici sarà quello di avere un governo a doppio pedale e una guerriglia parlamenta­re pressoché quotidiana, condotta da deputati  Tensione

Si profila un voto con suspense per l’autorizzaz­ione a procedere per Salvini e senatori di governo contro altri colleghi che sostengono la coalizione. Un fuoco amico elevato a prassi ordinaria che rende facile anche individuar­e le prossime scorriband­e a portata di mano dell’anima più oltranzist­a dei 5 Stelle: il voto con suspense per la richiesta di autorizzaz­ione a procedere per Salvini e la decisione sull’autonomia rafforzata. Il guaio è che in questa storia di ripicche e di concorrenz­a elettorale, di Tav azzerate e di navigator senza patente nautica, ci va di mezzo il Paese. C’è in entrambi i partiti che guidano il governo una sottovalut­azione della discontinu­ità che si è aperta nell’economia. Il fenomeno non riguarda solo l’italia visto che nei giorni scorsi l’economist è arrivato addirittur­a a chiedersi se sia inceppato il celebratis­simo modello tedesco («Is the German model broken?»), ma sappiamo per certo che tutti gli indicatori segnalano un peggiorame­nto del ciclo, che il clima di fiducia delle imprese sta crollando e che, quando nell’economia mondiale piove, da noi come minimo grandina. Nessuno ha la sfera di cristallo tanto da dirci con assoluta sicurezza che cosa ci aspetta nei prossimi mesi, i leader di governo però sembrano avere la testa altrove.

Alle nomine, ad esempio, visto il crescente attivismo dei massimi dirigenti della coalizione nel riscrivere da capo a fondo gli organigram­mi del potere e dell’amministra­zione. La stessa attenzione non è spesa invece sui dossier che contano. Dei leader che non perdono occasione per entrare a piedi uniti sulle scelte dell’allenatore Gattuso o sulla classifica finale di Sanremo osservano invece un silenzio assordante  Crisi C’è in entrambi i partiti una sottovalut­azione della discontinu­ità che si è aperta nell’economia sull’andamento del mercato del lavoro a tre mesi dall’approvazio­ne della legge Di Maio. Quanto alle crisi aziendali, e solo per limitarsi ai casi più evidenti, le soluzioni prospettat­e allo stop di Termini Imerese e alla vendita dell’iribus non sono decollate. Non parliamo poi di Alitalia: il ministro ad ottobre aveva promesso, tra gli applausi, una soluzione entro fine mese e la salvaguard­ia di tutti i posti di lavoro e siamo invece ancora a «caro amico». Se poi volgiamo l’occhio alla crisi del settore dell’automotive non pare proprio che al ministero ne abbiano compreso né la portata né le conseguenz­e. Ma un’analisi costibenef­ici della recessione nessuno avrà il coraggio di ordinarla.

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