Così Bodini imprigionò nel legno le due anime di Papa Montini
A 50 anni dalla realizzazione il ritratto di Paolo VI esce dai Musei Vaticani e va in mostra fino al 31 marzo
Forse nessun artista ha saputo rappresentare Paolo VI (1897-1978) come Floriano Bodini (1933-2005). E, sicuramente, nessuno meglio di Carlo Bo ha saputo cogliere le suggestioni di un Pontefice «che si protendeva a cercare nella gente che passava il mistero primo della famiglia cristiana […]. Diversamente, sarebbe stato sufficiente insistere sulla severità, su quell’apparente incomunicabilità che lo distingueva da altri Papi che sapevano parlare col cuore, con la voce dell’anima».
«In Montini — concludeva Bo – c’era tutto questo, ma lo si doveva cercare, bisognava andare a frugare nelle pieghe più intime del suo spirito e quasi sempre si trattava di occasioni molto rare». Lo scrittore cattolico si riferiva alla statua in marmo di Paolo VI, inaugurata nell’89 nel Duomo di Milano. Il Papa era colto mentre, in ginocchio, guardava verso l’altare maggiore e i fedeli, come da una finestra, riprendendo l’impostazione del Bernini e dell’algardi.
Ma già nel ’68, Bodini aveva esposto il grande Ritratto di un Papa in legno, alto due metri e mezzo, collocato ai Musei Vaticani. Lo scultore di Gemonio (Varese) aveva incontrato Montini nel ’62, quando era arcivescovo di Milano («Teneva i piedi stretti e il corpo immobile»). Dopo quel colloquio, l’inizio dei lavori per il ritratto ligneo, durati circa sei anni.
Della generazione di Banchieri, Ceretti, Ferroni, Romagnoni, Vaglieri e Guerreschi, Bodini ha vissuto un periodo particolarmente ricco di contrasti che agitavano il mondo cattolico. Nel ’57, l’artista comincia a misurarsi con soggetti religiosi (Crocifisso). Il primo Papa? Reliquia, del ’59, rappresentava Pio XII imbalsamato. Lo scultore aveva visto Eugenio Pacelli mentre veniva portato sulla sedia gestatoria ed era rimasto impressionato da quell’apparato teatrale e contraddittoriamente carismatico che la cerimonia comporta. La convinzione che Papi e vescovi fossero una faccia del potere sic et simpliciter gli fa assumere una posizione critica (ed autocritica) nei riguardi del cattolicesimo ufficiale.
Dopo l’incontro del ’62, e l’elezione a pontefice dell’anno dopo, Bodini manifesta una certa fiducia in papa Montini. Durata poco, però: così dall’idea di un Papa-padre passa a quella d’un personaggio pieno di dubbi e di contraddizioni. Espressi tutti nel ritratto ligneo che, allora, fa molto scalpore. Ha, nota Mario De Micheli, nella monografia che accompagna l’opera, «una sua forma urtante, irritante, non scevra da sgradevolezze e di sconvolgenti ammonizioni». Otto anni dopo la morte di papa Montini, nel monumento al Sacro Monte di Varese, Bodini modifica la figura del Pontefice: meno aspra, meno inquieta, quasi invasata da una grande pietà. La sua visione appare decantata, così come s’è decantato il neoespressionismo barocco dei monumenti precedenti. Tolte le asperità e l’apparente incomunicabilità — noterà ancora Bo —, Floriano coglie «il cuore sanguinante dell’uomo, il suo dramma, il divario fra le grandi ambizioni e il memento solenne e ultimo della vanità» per restituire un Montini «non più dilacerato e sconfitto, ma un prete che, nonostante tutto, appare come quello che è stato chiamato a rendere umana la nostra esistenza». Insomma, il Montini della sublime preghiera alle esequie di Aldo Moro.
Ed ecco che, adesso, dopo la santificazione di Paolo VI e a distanza di mezzo secolo dalla sua realizzazione, il Ritratto di un Papa di Bodini esce dai Musei Vaticani per una mostra (sino al 31 marzo) a Palazzo Leone da Perego di Legnano (Milano), a cura di Flavio Arensi e Sara Bodini. Esposti anche bozzetti, incisioni, quattro sculture sul tema e 14 fotografie di Pepi Merisio scattate man mano che Floriano realizzava l’opera, seguito da monsignor Pasquale Macchi, segretario del Papa.
Il risultato? Quasi un Giano bifronte. «Bodini — scrive a suo tempo Dino Buzzati — è riuscito a dare contemporaneamente allo stesso volto diverse e opposte espressioni, tutte psicologicamente plausibili e tipiche del personaggio. Fate una prova: mettetevi alla destra della statua, un po’ indietro così da vedere la guancia destra di striscio. Paolo VI ha un sorriso buono, confidente e sereno. Ma ora girategli lentamente intorno, alla massima distanza che consente il locale, in senso contrario alla lancette dell’orologio. All’improvviso il sorriso si raffredda, come se il Papa avesse intravisto qualcosa di nuovo e inquietante, le sembianze non esprimono più soave letizia, bensì un mal dissimulato imbarazzo, che fa quasi tenerezza, come i bambini di fronte alle cose più grandi di loro».
Conoscendo bene Floriano, si è quasi tentati di rintracciare nel Paolo VI ligneo un suo probabile autoritratto: apparentemente scontroso, quasi ostico, spigoloso; ma, come ben sa il suo amico Peppino Gatti, anche un po’ malinconico. Insomma, a suo modo, una sorta di scultore-papa.