La paranza scuote Berlino
Saviano: «Al vertice della camorra ci sono i ragazzini Salvini? Non mi faccio intimidire dalle sue minacce»
Sono come forzati a relazionarsi alla morte che, come il carcere, è una possibilità reale e quotidiana».
Il regista non voleva «toni pedagogici o sociologici», né fare un film di denuncia. L’ambientazione a Napoli (al Rione Sanità, nel centro storico raccontato da Eduardo e De Sica), conta fino a un certo punto. Saviano: «Questo è il racconto su una generazione. Senza il crimine rischiavo un ritratto intimo che non saprei fare». Vogliono abiti firmati, orologi di marca, moto, un tavolo in discoteca e lo champagne a portata di mano. Lo ottengono col crimine. «Contano il denaro, i followers, l’aspetto», spiega Saviano. C’è un dato nuovo: «Nel vuoto di potere, per la prima volta al vertice delle organizzazioni criminali ci sono i giovanissimi. In questa narrazione i genitori (così come le istituzioni, lo Stato) sono assenti: «Non hanno la possibilità di avere un mutuo, di progettare una vacanza. Non hanno autorevolezza, sono da proteggere o da disprezzare. I figli, dediti al crimine, hanno preso il loro posto».
Non c’è alternativa: «Mettere paura in un luogo in cui non c’è nulla è il capitale che ti rimane». La pistola apre tutte le porte. I personaggi non si giudicano, ci si concentra sulla loro vita emotiva. L’amore? Non ti devi sposare con la donna che ami, «saresti un debole, un femminiello», perché l’amore acceca e passa: devi solo pensare a mettere su famiglia. Per Saviano «i desideri dei ragazzi di periferia non sono più da ghetto, sono gli stessi di quelli del centro.
Il protagonista, Francesco Di Napoli («al primo provino nemmeno mi presentai, pensavo che fosse una truffa»), fa il pasticciere e quei delinquenti coi brufoli li vede tutti i giorni: «Non mi è stato difficile interpretarli. I miei coetanei che hanno scelto il crimine pensano che chi lavora, come me che faccio il pasticciere, sia uno stupido». Una società di «fottitori e fottuti», dice Saviano. Il regista voleva dipinta sul volto del protagonista l’innocenza, uscendo dall’iconografia di film sulla camorra: «Non volevamo fare Gomorra junior».