Shutdown, Trump (pare) pronto a cedere
Donald Trump WASHINGTON non vuole «un altro Shutdown», la paralisi dell’amministrazione per mancanza di fondi. Per evitarlo il presidente dovrebbe firmare il provvedimento concordato da democratici e repubblicani entro domani, 15 febbraio. Lo farà? Secondo i media americani, alla fine firmerà. Anche se ieri, parlando nello Studio Ovale con a fianco il presidente colombiano Iván Duque, Trump ha elogiato «il lavoro negoziale dei repubblicani», ripetendo, però, che avrebbe voluto di più. Bisognerà, dunque, aspettare l’atto ufficiale. L’accordo raggiunto dal comitato bipartisan formato da 17 parlamentari assicura il finanziamento dell’amministrazione fino a settembre. Il punto chiave è lo stanziamento di 1,38 miliardi di dollari per la costruzione di «barriere fisiche» su un tratto di 88 chilometri nella valle del Rio Grande. Vanno bene diversi tipi di protezione, purché non siano muri in cemento. La cifra è pari a un quarto di quella considerata «non negoziabile» dalla Casa Bianca nel dicembre scorso: 5,7 miliardi di dollari. Comprensibile, dunque, il disappunto di Trump. Ma i margini di manovra, con la Camera dei rappresentanti controllata dai democratici, sembrano ormai esauriti. I consiglieri dello Studio Ovale stanno studiando altre possibilità. La più quotata: firmare, incassare 1,38 miliardi di dollari e poi, come ha rivelato lo stesso Trump, prelevare altre risorse da poste «di minore importanza». Quali? Circa 3 miliardi dai soldi già stanziati per la costruzione «di opere civili» a uso dell’esercito; 700 milioni dal tesoretto gestito dal Pentagono per «il contrasto al traffico di narcotici»; 680 milioni dalle «riserve forfettarie» del Tesoro. Infine potrebbero essere mobilitati altri 3,6 miliardi direttamente dal bilancio della Difesa. Ma in questo caso il presidente dovrebbe dichiarare lo «stato di emergenza nazionale», aprendo un probabile contenzioso con le Corti, oltreché con settori del suo stesso partito.