LA BREXIT DI JOHNSON IDEA FORSE VELLEITARIA MA NON ISOLAZIONISTA
Il voto per la Brexit e l’elezione di Donald Trump, nel 2016, vengono spesso accomunati come i due potenti colpi d’avvio dell’onda populista che da allora attraversa l’occidente: due segnali della crisi della globalizzazione e della volontà di alzare barriere in nome di un neo-isolazionismo. Ma se è vero che le motivazioni degli elettori erano simili — la rivolta contro l’establishment liberal e i suoi dogmi — è anche vero che, almeno nelle intenzioni dei suoi maggiori promotori, la Brexit vuol essere tutt’altro che un moto di chiusura verso l’esterno. La conferma la si è avuta questa settimana, quando a Westminster è stato lanciato il manifesto per la Global Britain, indicato come una «visione per il XXI secolo»: alla presenza, non a caso, di Boris Johnson, che della Brexit è il più vistoso araldo. Il progetto, per la Gran Bretagna dopo la sua uscita dall’unione europea, è quello di una nazione globale, che si lancia nel mondo svincolata da lacci e lacciuoli: il contrario del ritirarsi in uno splendido (?) isolamento. La Global Britain, ha spiegato Johnson, è «coerente con la storia e gli istinti della nostra nazione». Un Paese che vuole farsi campione del libero commercio, nel momento in cui, si legge nel manifesto, gli Stati Uniti «hanno abdicato a questo ruolo», la Ue «vira verso il protezionismo» e la Cina è «sempre più mercantilista». Dunque una Gran Bretagna che si fa portabandiera della globalizzazione mentre altrove appare in ritirata: e che si sgancia dall’unione europea non per chiudersi in se stessa, ma per aprirsi al mondo. L’orizzonte è quello della Anglosfera — una «massiccia opportunità», nelle parole di Johnson — ossia l’alleanza con Paesi come Canada, Australia e Nuova Zelanda, oltre che con le nazioni del Commonwealth come l’india, il Sudafrica e il Kenya. Il rischio post Brexit, semmai, è quello di apparire velleitari.