LA SFIDA DEI VETI INCROCIATI
I partiti al governo Reddito di cittadinanza, autonomia delle Regioni, Tav, Venezuela, rapporti con la Francia, rivendicazioni dei pastori: tante liti e stop reciproci
Non si conoscono eventuali clausole del contratto costitutivo della coalizione gialloverde in cui venga sancito che il giallo è il colore del governo e il verde quello dell’opposizione, o viceversa, naturalmente. Però le cose vanno esattamente così: di volta in volta i due partner della maggioranza governativa indossano panni diversi a seconda del dossier preso in esame. Sulla parte del contratto abbracciata dalla Lega, i Cinque Stelle fanno resistenza, mimano toni da opposizione, si mettono di traverso. Quando sul terreno ci sono le proposte identitarie dei Cinque Stelle è invece la Lega a frenare, tergiversare, oppure apertamente a ostacolare il cammino dell’alleato. Non si sa quanto questo continuo gioco di ruoli possa andare avanti. Si sa con certezza, però, che il suo risultato rischia di essere la chiave di un immobilismo paralizzante. In assenza di un’opposizione forte, forte perché si candida credibilmente a diventare forza di governo, i gialloverdi hanno buon gioco a recitare due parti in commedia. Forse utili a fini elettorali per i suoi attori. Certamente poco utili, anzi dannose per il resto del Paese.
Ogni giorno ha la sua commedia. L’ultima è la manina leghista che vuole introdurre vincoli e condizioni che rendono più difficile il godimento del reddito di cittadinanza, il vero, irrinunciabile vessillo dei Cinque Stelle.
Non una contrarietà assoluta, ma un’opera di depotenziamento, come a voler disinnescare le conseguenze che quella misura potrebbe avere per chi ne beneficia e soprattutto il vantaggio politico che ne ricaverebbe l’alleato-concorrente, il cogovernante-oppositore. A parti rovesciate i malumori dei Cinque Stelle sul progetto di autonomia delle tre Regioni «ricche», Lombardia, Veneto e Emilia-romagna: sembrava cosa fatta, inserita nei commi del contratto di governo, legittimata da un referendum popolare. Eppure, anche qui: trappole, ostruzionismi, rivendicazione, opposizione obliqua e anche aperta. Da mesi è così, uno stillicidio in cui il contratto tanto celebrato viene stiracchiato, strappato, ricomposto, ricucito, ma sempre sotto stress. Adesso è anche la chiusura domenicale dei negozi a rappresentare un nuovo motivo di attrito: i Cinque Stelle la esaltano, la Lega la detesta. Sulla Tav Salvini fa l’oppositore della commissione costi-benefici, va a visitare i cantieri demonizzati dai seguaci di Grillo, partecipa alle manifestazioni Sì Tav, si prende le parolacce risentite di Alessandro Di Battista. I Cinque Stelle rispondono con scortesie istituzionali, il ministro Toninelli invia il dossier prima ai francesi e poi all’alleato di governo. Ma finché la commissione era al lavoro, tutto era procrastinato (tranne la drammatica mancanza di stipendio degli operai che hanno già scavato sette chilometri di tunnel e che ora sono stati fermati dal mantra dell’«analisi costi-benefici»). Adesso invece una decisione va presa, senza ulteriori indugi: vincerà il governo-opposizione della Lega o l’opposizione-governo dei Cinque Stelle?
Le parti in commedia a ruoli rovesciati scavalcano anche i confini nazionali. Sulla questione del Venezuela la distanza sembra incolmabile, con la Lega che vorrebbe unirsi al fronte internazionale di chi combatte l’autoritarismo di Maduro e la sua politica che sta portando alla fame il popolo venezuelano. I Cinque Stelle invece non vedono l’ora di scagliarsi contro l’imperialismo americano, anche se alla Casa Bianca c’è Donald Trump.
Paralisi L’inesauribile dualismo degli alleati è pericoloso per il continuo rinvio di tutte le scelte
Inoltre sulla questione delle relazioni inasprite tra Italia e Francia, a Salvini non è affatto piaciuta la visita di Di Maio e Di Battista ai gilet gialli, non perché non ne condivida lo spirito populista anti-macroniano ma perché tra la polizia e i devastatori di Parigi, il cuore del ministro dell’interno batte con le forze dell’ordine. E ogni giorno si apre un nuovo contenzioso: dal problema delle proteste dei pastori sardi per il prezzo del latte venduto addirittura al di sotto dei costi di produzione, all’atteggiamento nei confronti dei vertici di Bankitalia, con Salvini che sembra sposare un linguaggio molto più morbido della perentorietà di Di Maio, peraltro, come sembra, destinata a non mietere sonanti successi.
Questo governo è composto da forze molto diverse tra loro, per formazione, mentalità, atteggiamenti, storia e (sinora) per insediamento geografico e territoriale. È inevitabile che queste diversità si manifestino, malgrado i richiami rituali alla lettera del contratto siglato nel maggio scorso, e del resto solo in base a una sciagurata legge elettorale è possibile che forze tanto diverse possano governare insieme. Ma è davvero molto rischioso questo inesauribile dualismo tra forze che a giorni alterni indossano la divisa del governante e quella dell’oppositore. È rischioso per il continuo rinvio delle scelte di governo, per i veti reciproci che penalizzano il momento della decisione (ma Salvini non era un «decisionista»?), per un’azione di governo minata e lacerata da una guerriglia interna senza sosta e condita da dichiarazioni tonitruanti dei contendentialleati che sfogano sul piano verbale quello che non possono praticare nelle scelte concrete che si compiono. Però è rischioso, ed è davvero stupefacente che non lo capiscano le deboli e rissose componenti dell’opposizione (quella che dovrebbe essere vera, ma dov’è?), anche perché in tanti strepiti allarmistici sui pericoli del «regime» in cui l’italia starebbe avviandosi, il vero scenario di «regime» è quello in cui le forze di governo possono tranquillamente giocare ruoli diversi, occupare tutto intero lo spettro della politica, compensando vicendevolmente perdite ed eventuali arretramenti. Tutto in casa: pro e contro, a favore e sfavore, dentro e fuori. E l’italia? Deve aspettare.