Spagna al voto anticipato il 28 aprile
Il premier uscente Sánchez fissa la data. Si apre la campagna elettorale, cinque partiti in gara
In Spagna è l’ora di creare slogan e di comperare fondotinta. Le elezioni generali sono dietro l’angolo, conterà commuovere sui social o sedurre in tv. In questo momento i sondaggi dicono molto, ma non moltissimo. Se si invertisse il trend dell’assenteismo, ormai stabile oltre il 40%, allora le sinistre ne sarebbero avvantaggiate. Se invece si manterranno le attuali intenzioni di voto, sarebbero le destre a prevalere.
Il premier socialista Pedro Sánchez ha convocato elezioni generali per il 28 aprile. Giovedì aveva mancato l’approvazione del bilancio pubblico 2019 a causa del voto contrario dei catalani indipendentisti. L’hanno incolpato di non aver impedito l’inizio del processo ai loro leader, non aver promesso l’indulto, non aver parlato di referendum per l’autodeterminazione e i catalani, per ritorsione, hanno fatto cadere il suo governo. Votando contro Sánchez hanno accettato il rischio che dal 29 aprile potrebbero avere a che fare con un governo diverso a Madrid. Magari peggiore. Probabilmente peggiore.
È quello che dicono al momento i sondaggi. Lo psicodramma di avere una parte tanto importante del Paese come la Catalogna che si vuole staccare ha acceso tutti gli allarmi, razionali e irrazionali. Barcellona rappresenta un quinto del Pil spagnolo, ma è anche la chiave di volta per l’unità dello Stato. Senza, il Paese che sembra avere appena digerito la perdita del suo status di super potenza, entrerebbe in crisi d’identità. Non si parla d’altro in Spagna. «Onore», «tradimento», «unità sacra», «libertà» sono le parole più usate, segno di un disagio che va al di là delle regole, delle leggi e delle convenienze economiche.
Il bipartitismo formato dal Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) e dal Partido Popular (Pp) che aveva retto la Spagna dal 1978 è frantumato. Anche quando non avevano abbastanza deputati, i due grandi governavano con l’aiuto dei partitini regionali. La crisi catalana ha distrutto il meccanismo. La fase politica che si sta aprendo appare più simile al mosaico italiano: cinque partiti che faticano a parlarsi, con segretari che si vergognano a farsi fotografare l’uno vicino all’altro. E tutti tra il 10 e il 25 per cento.
Sánchez ha deciso di indire elezioni perché spera di vincerle. Potrà sbandierare la Finanziaria che gli è stata bocciata: avrebbe aumentato le pensioni e il salario minimo, ma anche ammorbidito la versione spagnola del Jobs Act. Un ritorno ai cavalli classici del Psoe, libero dagli obblighi di austerity, che potrebbe far tornare a casa i voti fuggiti verso la sinistra di Podemos. Sánchez però è solo. Il partito non gli crede e gli ha imposto di correre senza accorpare le Politiche alle Europee in maggio.
La coalizione data per vincente è oggi quella tra Partido Popular, liberali di Ciudadanos e la nuova estrema destra di Vox. Li unisce l’anti-catalanismo, ma Ciudadanos fatica ad allearsi ai neri di Vox e il Pp si sta ridisegnando per riconquistare i voti nostalgici. Ciudadanos potrebbe invece scegliere il Psoe per un esecutivo più centrista, ma anche in questo caso, per i catalani, molto più intransigente dell’attuale.