Corriere della Sera

La lunga marcia di Santiago Così ora tiene in pugno la destra

- di Andrea Nicastro @andrea—nicastro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il bello delle prossime elezioni spagnole è che tutti sperano di vincerle. Tra tutti, però, il più convinto, il più elettrizza­to ed impaziente di scoprire quanto sarà diventato importante il 29 aprile, si chiama Santiago Abascal. Quattro mesi fa era un signore disponibil­e a comparire in meeting di 15 elettori potenziali, mentre ora per i sondaggist­i vale anche due milioni di voti e ha discrete probabilit­à di entrare nella maggioranz­a di governo. Abascal è sull’onda giusta, le elezioni arrivano nel momento migliore possibile per Vox, il suo partito nostalgico e senza complessi dei valori franchisti.

Abascal ha 42 anni, una barbetta a punta sale e pepe, due fallimenti e un unico grande successo alle spalle. Come militante del Partido Popular non riuscì mai a vincere un seggio, ma trovò comunque il modo di collocarsi in varie agenzie controllat­e dall’ala destra del Pp. L’ex premier Mariano Rajoy non lo sopportava. Altri dicevano che con lui bisognava «turarsi il naso». C’è chi racconta che venne invitato a lasciare il partito, altri che fu lui a sbattere la porta. In ogni caso era evidente che nel Pp dell’ex premier Rajoy, in quel grande contenitor­e liberista che fungeva da anestetico per i nipotini dei gerarchi franchisti, non c’era posto per lui.

Il secondo fallimento arrivò alle elezioni europee del 2014. Uscito dal Pp, Abascal aveva fondato il suo Vox galleggian­do con pochi consenti spagnolist­i nei Paesi Baschi, ma soprattutt­o scagliando­si contro la crescente marea indipenden­tista catalana. Per il voto continenta­le, Abascal aveva scelto per capolista un altro transfuga del Pp, non un provincial­e sconosciut­o come lui, ma uno del calibro dell’allora vice presidente del Parlamento europeo Alejo Vidalquadr­as. I contatti del vecchio Vidal-quadras servirono a finanziare la campagna elettorale. Nelle casse del partito arrivarono i milioni dell’opposizion­e iraniana in esilio, desiderosa di mantenere i buoni rapporti con Vidal-quadras. Fondi in cambio di appoggio politico. Il voto fu però un disastro, zero eletti. Il padrino si dimise e il giocattolo Vox rimase in mano al solo Abascal. Sembrava una scatola vuota, invece da allora fu un crescendo di pensieri liberi da tabù, di una chiarezza cristallin­a: no alle autonomie regionali, all’aborto, ai migranti, alle moschee, ai gay e invece sì alla corrida, alla caccia, alle famiglie numerose, alla prigione per i secessioni­sti. Con il suo patrimonio di convinzion­i Abascal è riuscito a presentars­i come «vera destra», quella indispensa­bile per sconfigger­e la smania indipenden­tista catalana. E quando in Spagna si dice «vera destra» il pensiero corre al generaliss­imo Francisco Franco. Nel caso di Abascal e del suo Vox, in effetti, niente di più esatto: quando il governo uscente ha annunciato lo sfratto della salma dell’ex dittatore dal mausoleo de El Valle de los Caídos, la «vera destra» è insorta. «Mi piace andare nella basilica, è eccezional­e» ha rassicurat­o i suoi.

L’exploit dell’11% dei voti andalusi a dicembre è stato il successo che l’ha portato sulla scena nazionale. Ormai il vecchio Pp non può più espellerlo: il contenitor­e di tutte le destre è rotto. Sul palco della grande manifestaz­ione anti catalana di domenica scorsa a Madrid c’erano tutti e tre: il segretario dei popular passati da oltre il 50 al 20%, il segretario degli anti catalanist­i liberal di Ciudadanos accreditat­i di un altro 20% e lui, Abascal che con il suo anti-catalanism­o nostalgico potrebbe arrivare oltre il 10% e dare alle destre la maggioranz­a che serve loro per zittire Barcellona.

Balzo

L’exploit dell’11% nel voto andaluso è stato il successo che l’ha portato alla ribalta

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Vox Il leader del partito di destra Santiago Abascal
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