Giovani contro il presidente: caos a Haiti, morti e feriti nelle proteste
Haiti in fiamme, affamata, barricata: migliaia di giovani che chiedono le dimissioni del «Presidente Banana» accusato di corruzione sfidando le pallottole della polizia, almeno sette morti, decine di feriti, la gente chiusa in casa da giorni senz’acqua, negozi saccheggiati, il primo ospedale di Port-auprince chiuso per caos, scuole deserte, ambasciate serrate (come quella canadese) o che fanno partire i figli dei diplomatici con il grosso del personale. I bambini di Haiti non partono. Sono in giro in cerca di cibo. Ong e operatori umanitari (anche italiani) faticano a portare aiuti, mai come in queste ore necessari. E in un tale monumentale pandemonio, protetto nella sua residenza sulle alture della capitale, Jovenel Moïse non accetta di farsi da parte. L’ex esportatore di frutta che due anni fa vinse contestatissime elezioni presentandosi come l’«uomo banana» (in creolo Neg Bannan nan) e come amico del precedente leader Michel Martelly (nome da cantante: Sweet Mickey), dopo giorni di silenzio è apparso l’altra sera in un videomessaggio sulla tv pubblica: «Non mi dimetto, non abbandonerò il Paese nelle mani delle gang e dei narcotrafficanti».
Haiti per ora è abbandonata a se stessa: dal 7 febbraio il crescendo di violenze in molte città è arrivato a paralizzare un Paese abituato da sempre alla precarietà. L’opposizione, che non ha mai digerito l’elezione dell’uomo Banana accusato di brogli, soffia sul fuoco del malcontento e dei copertoni bruciati. A rimetterci non sono i ricchi dietro ai cancelli delle ville o i capi gang che controllano gli slum, ma i poveri, come dire la maggioranza della popolazione (il 60% degli 11 milioni di abitanti di Haiti vive con meno di 2 dollari al giorno). Presi in mezzo alle violenze, bloccati nella loro umile mobilità che è cruciale per la sopravvivenza.
L’ultima scintilla: il rapporto della Corte dei Conti che ha rinfocolato le accuse per il presidente, 50 anni, e il suo entourage di ministri. Al fondo c’è lo scandalo Petrocaribe: petrolio venezuelano venduto a basso costo dal 2008, la scomparsa di 4 miliardi di dollari destinati allo sviluppo. Mesi di proteste alimentate dalla frustrazione, dalle false promesse di un presidente che girava il Paese con la sua «carovana del cambiamento». È probabile che Banana non sia peggio del Dolce Mickey e di coloro che l’hanno preceduto, i politici «ora tocca a noi». Mentre i veri potenti, quelli che controllano i monopoli e tengono invariata la bilancia della ricchezza sulla prima isola al mondo dove gli schiavi conquistarono la libertà, loro se ne stanno nelle ville in collina o in Florida, infischiandosene dei muri di Trump. Violenze
Un ragazzo con una testa di manichino a Port-auprince. Proteste e scontri con la polizia hanno fatto almeno 7 morti: chieste le dimissioni di Jovenel Moïse, accusato di corruzione
(H. Retamal)