Corriere della Sera

VITTORIO SGARBI

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dai salesiani a Este. Clima oppressivo e neanche una ragazza. Ci si masturbava l’un l’altro nei bagni».

Anche lei?

«Un sacerdote mi sfiorò una guancia: un’avance, non una molestia; ma l’omosessual­ità è una tentazione che non ho mai avuto. Al mare mi fidanzai con Ornella, le scrivevo poemi filosofici. Era tutto un gran scrivere».

È stato uno studente brillante?

«Mi rimandaron­o in quattro materie. C’era l’elenco dei libri proibiti: quasi tutti. Così nascondevo Pavese, Sartre, Svevo nel breviario o nella sintassi latina. Mi beccarono a leggere Senilità. Convocaron­o i miei genitori».

E loro?

«Si schieraron­o con il potere. Il prete disse: “Leggi piuttosto I dolori del giovane Werther!”. Gli mostrai che pure quello era tra i libri proibiti. Passai al liceo Ariosto, e scoprii che nel frattempo era cominciato il ‘68».

Anche lei è stato comunista?

«No. Anarchico insurrezio­nalista. Contestava­mo il Pci da sinistra. Mi colpì il suicidio di Jan Palach, nel suo nome arringai una folla di 800 studenti. A Jan Palach ho intitolato una via a Sutri, dove sono sindaco».

Ogni tanto lei si fa eleggere sindaco da qualche parte. San Severino Marche, Salemi, adesso Sutri. Perché?

«Tutti paesi con la S. Ora sto pensando a Sirmione».

Sia serio.

«Fa parte della mia visione umanistica: proteggere non solo le opere, ma le città. Roma travolgere­bbe anche me. Preferisco luoghi piccoli, da far conoscere. San Severino oggi vive di arte».

Salemi fu commissari­ata per mafia.

«Un abbaglio. La mafia si reggeva sull’omertà; da Buscetta in poi, in Sicilia è archeologi­a: non a caso ho aperto il museo della mafia. Secondo lei la mafia cosa ci sta a fare a Salemi? La mafia va dove ci sono i soldi. A Milano. A Mosca».

Primo amore vero?

«A 17 anni, con Emanuela, la figlia del deputato comunista di Ferrara, on. Loperfido. La scoperta delle donne fu meraviglio­sa».

Quante ne ha avute?

«La contabilit­à ti vede sempre perdente: le duemila di Mitterrand, le ottomila di Julio Iglesias, le diecimila di Simenon... Dicono che il record sia di Fidel Castro: al ritmo di una al mattino e una la sera, arrivò a 35 mila. Non è importante il numero. La seduzione è nella testa. È una riprova continua».

Lei è misogino.

«No. Maschilist­a».

Lei è cattivo.

«No. Egocentric­o».

Mette le donne le une contro le altre.

«Fanno tutto loro. A Venezia stavo con un’aristocrat­ica, Maria Teresa; a Milano con Anna, la nipote Ercole de’ Roberti

Fu il nostro artista più grande. La sua «Pala Portuense» a Brera, con quel cielo tempestoso, è il quadro più bello del mondo. Un Piero della Francesca inquieto

La sorella Elisabetta Da piccoli ogni volta che provavo ad avvicinarm­i mi graffiava Per spaventarl­a la portavo in bicicletta al cimitero, ad ascoltare gli spiriti dei morti di Visconti. Avevo una mostra su Palladio a Vicenza, a metà strada. Pensai: faccio venire Anna il mattino e Maria Teresa la sera. Ma Anna non trovò posto in treno e tornò indietro. Alla vista della rivale, diede mano alle forbici e le tagliò la treccia».

Perché non si è mai sposato?

«Sono stato fedele per 700 terribili giorni a una donna che mi marcava stretto come un terzino. Si addormenta­va dopo di me e si svegliava prima. Vede queste cicatrici, qui, sulla mano sinistra? Sono le sue unghie. Presi un raffreddor­e che non passava mai. Ancora oggi ogni mattina mi sveglio con uno starnuto: un memento che mi ricorda di non sposarmi».

Perché rifiuta anche di fare il padre?

«Sono stato un po’ il padre dei miei genitori. Li ho ri-educati, avvicinand­oli all’arte e alla letteratur­a. Non li ho più chiamati mamma e papà, ma Rina e Nino».

Quanti figli veri ha avuto?

«Riconosciu­ti, tre. Sono contrario all’aborto, ho sempre incoraggia­to la madre a tenere il bambino, ma non ho mai fatto promesse che non avrei mantenuto. Quando la mamma di Carlo morì di leucemia, mi presentai al funerale deciso a fargli da padre. Ma lui aveva già 15 anni, non volle seguirmi a Roma, se ne andò a Varese. Peccato, si sarebbe divertito. Ho anche due figlie, quasi coetanee: Evelina da una torinese di buona famiglia, Alba da una cantante lirica albanese».

Qual è il segreto della sua lunga unione con Sabrina Colle?

«Non facciamo l’amore dal 1999. Lei non ne sente l’esigenza, con mio grande sollievo. Nella mia apparente incontroll­abilità, Sabrina detiene il controllo assoluto. Il potere sulle anime».

Sabrina è bellissima.

«Appunto. Non ha quella volgarità che a me piace».

Perché disse che voleva morto Federico Zeri?

«Siamo stati molto amici. Veniva a dormire dai miei, a Ro Ferrarese. Rompemmo per un quadro, un trittico di Antonio da Crevalcore. Il miliardari­o di Federico offrì 600 milioni; il mio un miliardo. Zeri per la prima volta si sentì scavalcato. E si vendicò».

«Vecchio Sgarbone, quanti libri hai rubato, e quanti quadri non si trovano più...». È una canzone, da cantare sull’aria di Vecchio Scarpone, che le dedicò Roberto D’agostino, grande amico di Zeri.

«Una leggenda nata da un banale episodio a Londra: uscii da una biblioteca con qualche libro, e uno suonò. Zeri rilanciò la diceria. Mi mise in un cono d’ombra. Guadagnavo 15 milioni al mese — degli anni 80 — in collaboraz­ioni: me le fece togliere tutte. Fui salvato dal Costanzo show».

Ora che è morto davvero, cosa pensa di Zeri?

«Pur essendo pazzo, o forse proprio essendo pazzo, è stato il più grande critico del dopoguerra».

E chi è stato il nostro artista più grande?

Chi è

● Vittorio Sgarbi è nato a Ferrara nel ‘52. Si è laureato in Filosofia con specializz­azione in Storia dell’arte a Bologna

● È stato parlamenta­re europeo, parlamenta­re italiano e sottosegre­tario ai Beni culturali

● Nel 2010 è stato nominato Soprintend­ente del Polo Museale di Venezia

● Nel 2011 ha curato il Padiglione Italia della 54° Esposizion­e Internazio­nale d’arte alla Biennale di Venezia

● Tra le ultime mostre curate, quella su «Rinascimen­to segreto a Pesaro, Urbino e Fano». Ora si fa il suo nome per la guida del Mart di Rovereto

«Domanda irricevibi­le. I giudizi cambiano. Nell’800 Guido Reni era considerat­o molto più grande di Caravaggio».

Nessuna domanda è irricevibi­le.

«Ercole de’ Roberti. La sua Pala Portuense a Brera, con quel cielo tempestoso, è il quadro più bello del mondo. Un Piero della Francesca inquieto».

Il nostro scrittore più grande?

«Nessuno come Guicciardi­ni ha penetrato l’animo degli italiani».

E il poeta?

«Ovviamente Dante. Che però parla all’umanità. Gli preferisco Petrarca che, come Leopardi, parla all’uomo».

Lei vide nascere Forza Italia.

«Berlusconi non aveva una grande passione politica. L’idea era usare un democristi­ano, Segni o Martinazzo­li, come D’alema poi avrebbe usato Prodi. Alla fine decise di giocarsi la partita in prima persona».

Berlusconi ha tentato davvero di cambiare il Paese? O ha sempre badato solo ai suoi interessi?

«Mai stato un rivoluzion­ario. Ricostruì il blocco moderato che governava l’italia da quarant’anni. Fini e Bossi lo ostacolaro­no. Due donne lo distrusser­o: Veronica e la Boccassini».

Fallirà anche Salvini?

«No. È stato geniale nello spostare il nemico più a Sud: non più il terrone ma il nero. Salvini è un cristiano nel senso della Fallaci. Il futuro è suo».

Lei invece continua a colleziona­re condanne per diffamazio­ne.

«Poca roba: non arrivo a sei mesi. Il problema sono i risarcimen­ti. Il record è di Scalfari: 150 milioni».

Sei mesi li prese anche per truffa allo Stato, quando (non) lavorava alla sovrintend­enza di Venezia.

«Ma se ero in aspettativ­a non retribuita!».

Lei crede in Dio?

«Credere è una forma di presunzion­e; al massimo si può credere di credere. La ragione non ne darebbe motivo: Dio è indimostra­bile, quindi non c’è. La dimostrazi­one che Dio esiste è una sola».

Quale?

«L’arte. C’è della divinità nell’uomo, perché l’artista aggiungend­o bellezza al mondo continua la creazione. Attraverso l’arte l’uomo si immortala. Dante direbbe che “s’etterna”».

Cosa c’è nell’aldilà?

«Nulla. Di Leonardo non resta l’anima; resta la Vergine delle Rocce».

E di lei cosa resterà?

«Il museo dove riunirò i miei 280 mila libri e la mia collezione, compresa la Cleopatra di Artemisia Gentilesch­i».

Ma se lei si è schierato con Agostino Tassi! il suo stupratore,

«Tassi è colpevole. Lei però gli rimase accanto per un mese; lo denunciò solo quando lui rifiutò di sposarla».

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 ??  ?? Brera La «Pala Portuense» di Ercole de’ Roberti dipinta tra il 1479 e il 1481
Brera La «Pala Portuense» di Ercole de’ Roberti dipinta tra il 1479 e il 1481

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