Il libro palestinese di Isabella Hammad
Se il talento si misura con la limpidezza degli spazi nella narrazione, e non solo con la potenza delle parole, Isabella Hammad ne ha molto. E non sembrano esagerati, pur in un mondo abituato a veder fabbricare miracoli, gli elogi che ha ricevuto prima ancora della pubblicazione di The Parisian, il suo romanzo d’esordio. Uscirà ad aprile, edito da Jonathan Cape. Per Zadie Smith è «una sublime esperienza di lettura».
Con un racconto, Mr. Can’aan, questa ventisettenne nata a Londra da una famiglia palestinese ha vinto il Plimpton Prize, riconoscimento assegnato da «The Paris Review» ad un emergente che ha trovato spazio nelle sue pagine. Nella lista dei vincitori, tra gli altri, Ottessa Moshfegh, Atticus Lish e David Szalay, l’autore Tutto quello che è un uomo, «short-stories» che collegano in diversi luoghi europei nove protagonisti della loro solitudine.
Isabella Hammad fa viaggiare la storia, oltre che le persone. Mr. Can’aan inizia quando la Guerra dei Sei Giorni si è conclusa da una settimana. Siamo sulla riva orientale del Giordano e la corrente del fiume trasporta un corpo. Un uomo senza nome per Sam (che lo vede e lo recupera), un padre da seppellire per i figli che lo cercheranno nell’arco di quaranta anni. Le vite scorrono, tra Beirut e Amman, tra Ginevra e Zurigo. Ma poi ci si incontra, anche se per caso, perché il passato vince sempre sul presente. E nel momento degli addii può accadere di «prendere fiato, come prima di parlare, e poi di lasciare andare via il respiro».
Il legame con i fatti torna in The Parisian, dove la vicenda personale del giovane palestinese Midhat Kamal — che si trasferisce in Francia alla vigilia della Prima guerra mondiale — si intreccia con i destini del suo popolo e di una lotta per l’indipendenza combattuta ancora oggi contro troppi nemici. Per scrivere il libro, come ha detto al Guardian, Isabella Hammad è tornata in Medio Oriente (ora abita a Brooklyn dopo aver studiato a Oxford e Harvard) per incontrare decine di componenti della sua famiglia. Le radici sono profonde, impossibili da estirpare. «Quando ero ragazza e sentivo mio padre parlare di mio nonno pensavo che tutto questo sarebbe stato un grande romanzo». Ora lo è diventato.