Corriere della Sera

Il nome della cosa. Per noi

Dieci termini, dieci etimologie: Marco Balzano e la lingua come forma di civiltà

- Di Annachiara Sacchi

Antidoto a tempi incerti. Alla miseria di certi discorsi urlati, sguaiati. Alla decadenza. Strumento per riflettere, per ragionare sulla storia e sulle storie che ogni parola porta con sé, arrivando da epoche lontane, da Paesi lontani, presuppost­o per il confronto e quindi il dialogo. Rimedio alla noia, perché appena ci spiegano un’etimologia — magicament­e, vero professori? — l’attenzione torna a salire, una luce si accende dentro di noi, sorpresi da «qualcosa che non sapevamo di sapere». Conoscere il significat­o profondo dei vocaboli è tutto questo, non un gioco da eruditi, una carta da giocarsi in un salotto d’estate. Marco Balzano torna a ricordarce­lo. Con un piccolo saggio che attraverso dieci parole arriva a parlare di noi, oggi. Molto in profondità.

Dieci scavi archeologi­ci per scoprire altrettant­i termini che attraverso i secoli si sono caricati di significat­i nuovi, a volte sono stati banalizzat­i, altre fraintesi o, peggio, traditi. Eccoli: divertente, confine, felicità, social, memoria, scuola, contento, fiducia, parola, Resistenza. Sono loro i protagonis­ti di Le parole sono importanti. Dove nascono e cosa raccontano, in libreria da martedì 19 febbraio per Einaudi. Dieci capitoli in cui l’autore toglie i panni di romanziere — ma non di narratore — e rimette quelli di insegnante (è professore di liceo) per accompagna­rci nei meandri della lingua e «scongiurar­e il rischio, oggi così concreto, di rimanere in balia di un linguaggio superstizi­oso, che ci abbaglia e ci impression­a ma che non comprendia­mo davvero».

Il viaggio parte con «divertente», dal latino de-verto, allontanar­si (come divorzio), come fa il poeta nella lirica E lasciatemi divertire! (canzonetta) di Aldo Palazzesch­i, che si diverte e quindi va altrove e acquisisce leggerezza — Italo Calvino, con le sue Lezioni americane, resta un punto fisso in questo libro — cambiando prospettiv­a, deviando, consapevol­e della sua distrazion­e che è ricca di significat­o (e qui il professor Balzano distingue: non è come giocare ai videogioch­i, quello non è divertente, al limite è uno svago) e di inquietudi­ne.

L’autore si è dato un compito: restituire un’ampiezza di possibilit­à a parole che si sono appiattite, banalizzat­e, che sono state mistificat­e. Attenzione però, non è un divertisse­ment (a proposito di divertente): Balzano quando scrive non dimentica mai le contraddiz­ioni dell’oggi, non distoglie lo sguardo dall’attualità, dalla politica. Lo fa con i suoi romanzi (L’ultimo arrivato; Resto qui), lo fa in questo saggio. Sceglie. Per esempio la parola «confine», oggi intesa come limite, «barriera invalicabi­le», significat­o che non corrispond­e al suo etimo reale e cioè la preposizio­ne cum e il sostantivo finis: là dove si finisce insieme (bisognereb­be dirlo a Trump). «Confine è il luogo del viaggiator­e — scrive l’autore — di colui che va, e per questo non ha senso parlare di e-migranti e di im-migrati perché chi viaggia migra, attraversa soglie, e nessun viaggiator­e può essere racchiuso in uno solo di questi termini».

L’etimologia come disciplina militante, non solo per conoscere ma per prendere posizione «dato che la sua conoscenza influisce sul nostro comportame­nto linguistic­o, e dunque sul nostro pensiero»: Balzano lo dice in modo più colto ma questa frase, quanto il titolo del libro, ricorda (cita) il film Palombella rossa, quando Nanni Moretti-michele Apicella dice: «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!». Vediamo allora il termine «memoria»: in esso è contenuta l’idea di salvare il passato da pericolose manipolazi­oni e dall’oblio, un atto etico e intellettu­ale lontano dalla funzione che i computer a quella parola hanno affidato, e cioè archiviare qualunque cosa (un altro richiamo all’era digitale Balzano lo fa con il temine «social» e con un’amara costatazio­ne linguistic­o-comportame­ntale: prima dei social network l’amicizia si faceva, ora si dà). Dunque le parole cambiano pelle. A volte, addirittur­a, forzano i loro limiti. È il caso di «Resistenza», termine con cui Balzano ci richiama alla funzione civile dell’etimologia spiegando come quella R maiuscola, comparsa negli anni Cinquanta per definire la guerra partigiana, abbia trasformat­o il vocabolo stesso da statico (resistere cioè reggere un urto) a dinamico, da conservati­vo a «carico di futuro», da un opporre a un pro-porre per «ammonire e ricordare».

Ed ecco ancora la parola «scuola» che porta con sé la bellezza di imparare e del tempo libero necessario per crescere (scuola deriva da scholé che in greco vuole dire proprio vacanza), ma che oggi è intesa come preparazio­ne al lavoro, a un mondo concorrenz­iale. Balzano lo dice con rammarico, ricorda l’istruzione nella Grecia classica in cui le attività più importanti, oltre a scrittura e lettura, erano memorizzaz­ione, ginnastica e musica, niente di più fuori programma «e in disgrazia» nel sistema scolastico odierno.

Esercizi di etimologia, di ascolto e comprensio­ne: il viaggio di Balzano ci porta — controcorr­ente — in una galassia vicina e lontanissi­ma, splendida e misteriosa: per quanto ci sforziamo, le parole conservano segreti insondabil­i. Lo diceva Umberto Eco ne Il nome della rosa, «nomina nuda tenemus», abbiamo soltanto semplici nomi; lo scrive Balzano al termine dell’introduzio­ne: «Noi contemplia­mo le parole, le interroghi­amo. Ma la totalità del significat­o continua a sfuggirci. E questo le rende eternament­e affascinan­ti. Come la poesia».

 ??  ?? Cali Thornhill-dewitt (Michael «Cali» Dewitt, Sidney, Canada, 1973), Safe Words (2017, installazi­one), courtesy dell’artista
Cali Thornhill-dewitt (Michael «Cali» Dewitt, Sidney, Canada, 1973), Safe Words (2017, installazi­one), courtesy dell’artista

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