Corriere della Sera

Un mondo che non avevamo mai notato

- di Marco Balzano

Al liceo, durante l’ora di latino, mentre contavamo i minuti che mancavano al suono della campanella, il prof Falchetti puntualizz­ò che homo ha la stessa radice di humus. Questo succede, ci spiegò, perché l’uomo sta sulla terra, mentre i morti stanno sotto e gli dèi sopra. Questione di piani. A quelle parole iniziammo a darci di gomito e a recuperare attenzione. Nel resto del tempo lo tempestamm­o di domande su quali altre parole derivasser­o da homo. Qualcuno fece proposte plausibili, qualcun altro completame­nte sballate. Ricordo che il prof aggiunse che nemo, «nessuno», è la sintesi di ne-homo. Insomma ne era nata una discussion­e vivace, tanto che sulle scale della scuola avevamo continuato a parlarne.

Anche Hans-georg Gadamer racconta un aneddoto simile. Il filosofo stava tenendo una lezione in un’università sudafrican­a davanti a una platea di giovani particolar­mente distratti. A un certo punto, parlando di Parmenide, Gadamer ricorda che la parola nothing altro non è che nothing. La platea assorta si ridesta perché di colpo capisce che l’essere non è una cosa, proprio come noi liceali avevamo sentito di cogliere dei concetti che fino a qualche minuto prima ci sfuggivano.

Perché accade questo? Che cosa genera un simile cambio di attenzione? Evidenteme­nte siamo di fronte a una rivelazion­e. Quando ci raccontano un’etimologia, qualcuno ci svela cosa c’è dentro la parola e da semplice referente la trasforma in un mondo da esplorare, un mondo pieno di elementi che erano sotto i nostri occhi ma che non avevamo mai notato. Proviamo un entusiasmo immediato perché riconoscia­mo qualcosa che non sapevamo di sapere. Dentro l’uomo c’è la terra, dentro il niente la mancanza della cosa, se non c’è nessuno non vi è presenza umana... Tutto questo lo avremmo potuto cogliere se avessimo osservato di più, se avessimo messo la parola in controluce per vederne la filigrana. Invece ci siamo accontenta­ti del guscio e abbiamo avuto accesso al solo significat­o base. L’emozione è doppia, perché la rivelazion­e del senso nascosto spesso è anche la prova della superficia­lità con cui ascoltiamo e parliamo.

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