Un mondo che non avevamo mai notato
Al liceo, durante l’ora di latino, mentre contavamo i minuti che mancavano al suono della campanella, il prof Falchetti puntualizzò che homo ha la stessa radice di humus. Questo succede, ci spiegò, perché l’uomo sta sulla terra, mentre i morti stanno sotto e gli dèi sopra. Questione di piani. A quelle parole iniziammo a darci di gomito e a recuperare attenzione. Nel resto del tempo lo tempestammo di domande su quali altre parole derivassero da homo. Qualcuno fece proposte plausibili, qualcun altro completamente sballate. Ricordo che il prof aggiunse che nemo, «nessuno», è la sintesi di ne-homo. Insomma ne era nata una discussione vivace, tanto che sulle scale della scuola avevamo continuato a parlarne.
Anche Hans-georg Gadamer racconta un aneddoto simile. Il filosofo stava tenendo una lezione in un’università sudafricana davanti a una platea di giovani particolarmente distratti. A un certo punto, parlando di Parmenide, Gadamer ricorda che la parola nothing altro non è che nothing. La platea assorta si ridesta perché di colpo capisce che l’essere non è una cosa, proprio come noi liceali avevamo sentito di cogliere dei concetti che fino a qualche minuto prima ci sfuggivano.
Perché accade questo? Che cosa genera un simile cambio di attenzione? Evidentemente siamo di fronte a una rivelazione. Quando ci raccontano un’etimologia, qualcuno ci svela cosa c’è dentro la parola e da semplice referente la trasforma in un mondo da esplorare, un mondo pieno di elementi che erano sotto i nostri occhi ma che non avevamo mai notato. Proviamo un entusiasmo immediato perché riconosciamo qualcosa che non sapevamo di sapere. Dentro l’uomo c’è la terra, dentro il niente la mancanza della cosa, se non c’è nessuno non vi è presenza umana... Tutto questo lo avremmo potuto cogliere se avessimo osservato di più, se avessimo messo la parola in controluce per vederne la filigrana. Invece ci siamo accontentati del guscio e abbiamo avuto accesso al solo significato base. L’emozione è doppia, perché la rivelazione del senso nascosto spesso è anche la prova della superficialità con cui ascoltiamo e parliamo.