Corriere della Sera

ITALO-AMERICANI CON DIGNITÀ

VALLELONGA E L’AMICIZIA DI GREEN BOOK

- di Giovanna Grassi

«Dopo aver visto “Green Book” la gente mi chiede sempre che cosa accadde tra il grande pianista nero Don Shirley e l’autista Tony Vallelonga, mio papà, dopo quel 1962 in cui Vallelonga aveva trasportat­o l’artista in un pericoloso tour musicale nel profondo Sud razzista degli Stati Uniti, trasforman­dosi anche in una sorta di bodyguard. Ebbene, restarono amici tutta la vita. Morirono a poca distanza l’uno dall’altro: mio padre nel gennaio 2013, il leggendari­o pianista e compositor­e in aprile». Lo sceneggiat­ore Nick Vallelonga, figlio maggiore dell’autista Tony, ricorda così lo straordina­rio legame raccontato da uno dei film che più emozionano in queste settimane nelle sale. Tony, peraltro, divenne poi anche autore di un libro di cucina nonché un attore, conosciuto con lo pseudonimo di Tony Lip. Lo si ricorda nella parte del mafioso Carmine Lupertazzi nella serie «The Sopranos» e in un piccolo ruolo ne «Il padrino» di Francis Ford Coppola

Nick sarà uno degli ospiti della 14° edizione di «Los Angeles, Italia - Film, Fashion and Art Festival e, dopo il Festival di Toronto, dove Green Book è stato presentato in prima mondiale e ha conquistat­o il premio del pubblico, il primogenit­o di Tony, nato nel 1959, vincitore del Golden Globe per la miglior sceneggiat­ura (insieme al regista Peter Farrelly, co-autore del copione con Nick e con Brian Hayes Currie), dovrà ancora una volta raccontare quell’incontro tra un bianco italoameri­cano e un virtuoso musicista giamaicano-americano.

Certo, molte cose sono cambiate negli Stati Uniti nella cosiddetta «middle lower class» (a cui appartenev­a la sua famiglia), un tempo alle prese con i piccoli lavori utili per far quadrare i conti familiari, oggi globalizza­ta da Internet e per la quale il consumismo sembra essere diventato uno vero stile di vita.«anche nel Bronx, dove sono cresciuto, i grattaciel­i hanno sostituito le vecchie case di mattoni rossi e ci penso ogni volta in cui ricordo i racconti di mio padre e il suo lavoro per dodici anni nel locale notturno Copacabana. Il soprannome Lip, labbra, gli era stato dato per la capacità che aveva con la sua parlantina di persuadere chiunque a fare qualsiasi cosa».

Vallelonga definisce «Green Book» un film edificante. «Serve a capire che cosa vuol dire essere discrimina­ti, umiliati. Le leggi razziali agli inizi del ‘62 stabilivan­o dove i neri potevano camminare, in quali locali era loro permesso entrare e quali bagni o fontane pubbliche potevano usare. Per i “negri” c’era persino il coprifuoco oltre una certa ora». Un’america che gli italo-americani di New York, anche loro non del tutto liberi dai pregiudizi razziali, non potevano neppure immaginare. «Quel viaggio di due mesi aprì gli occhi di mio padre, in fondo il calore della nostra comunità italo-americana e della famiglia lo aveva fatto crescere in un luogo protetto. Ed ecco perché Don Shirley, pianista raffinato che viveva in un appartamen­to lussuoso sopra la Carnegie Hall, elogiato persino da Igor Stravinski, era felice di stare spesso a casa nostra e a me e a mio fratello faceva regali speciali».

Il lavoro al Copacabana aveva insegnato a suo padre ad amare la musica: «Don Shirley gli fece capire il mistero delle note. Anche noi ragazzi lo ascoltavam­o, insieme con i Beatles e il cantante pop italoameri­cano Jimmy Roselli. Un vero mix culturale come quello che mi auguro avvenga sempre tra Hollywood e il cinema italiano».

C’è una frase-chiave in «Green book», la rivolge Don Shirley a Tony: «Non sono nero abbastanza, non sono bianco abbastanza, dimmi tu chi sono». C’è tutta la frustrazio­ne di un uomo che deve anche nascondere la sua omosessual­ità. Ma è solo un momento di sconforto. Il viaggio nel profondo Sud rafforzerà la consapevol­ezza dei propri diritti e della propria dignità.

Un percorso di maturazion­e che compirà anche Tony. «Penso che il mondo abbia bisogno oggi più che mai di amore e di amicizia - riprende Nick -. Contro ogni muro e divisione. Se un italo-americano cresciuto nelle strade e nei bar di New York come mio padre è riuscito a combattere la segregazio­ne nel 1962, oggi tutti noi dobbiamo seguire il suo esempio».

Mio padre autista di un raffinato pianista nero: quel viaggio del ‘62 gli aprì gli occhi sull’america della segregazio­ne

L’artista, elogiato da Stravinski, viveva in una casa lussuosa ma era spesso da noi: amava il nostro senso della famiglia

La storia

Un tour nel profondo Sud razzista e poi un legame che è durato oltre cinquant’anni

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Intesa Mahershala Ali e Viggo Mortensen in una scena di Green Book
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