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Sgarbi, lei è uno degli uomini più popolari d’italia. Eppure di lei come persona non sappiamo quasi nulla.
«Un po’ è vero».
Il primo ricordo pubblico?
«L’eclissi del febbraio 1961. Avevo otto anni. Dissi: “La Terra crea molti dubbi alla mente”».
Anche poeta…
«Un giorno l’insegnante portò in classe una rosa del deserto e ci assegnò un tema. Io scrissi versi ermetici: “Ho visto la sabbia del deserto/ Era rossa/ come gli attimi/ del suo eterno silenzio/ percorsi dal vento del tempo».
Le avrà dato 10.
«Mi diede “visto”. Si era sentito preso in giro».
Come ricorda sua sorella Elisabetta?
«Molto bellina; ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi mi graffiava. Per spaventarla la portavo in bicicletta al cimitero, ad ascoltare gli spiriti dei morti. Da grande pensavo di fare il generale, l’imperatore o il capo indiano. Mi feci una corona di penne, e una la regalai a Elisabetta».
Come erano i compagni delle elementari?
«Era una scuola di campagna, non avevano mai visto un bambino con gli occhiali. Mi chiamavano “Uccialina”, con una venatura femminea. Ricordo il primo insulto che mi gridarono in faccia: carogna!».
E i suoi genitori?
«Mia madre disse solo: dagli più pugni di quelli che prendi. Li considerava ignoranti; non aveva capito che cultura e agricoltura sono legate, come dimostrerà poi Carlin Petrini. Purtroppo mi impedirono di imparare il dialetto e mi mandarono a Ferrara dai preti».
Quali preti?
«I fratelli delle scuole cristiane. Mi alzavo alle 6 per prendere la corriera che faceva il giro delle frazioni, e tenevo il posto a Sandra Romanini che saliva alla frazione Ruina».
Primo amore?
«Sì. Avevo nove anni».
Precocissimo.
«No invece. Al liceo mi mandarono in collegio