L’«asticella» dei 5 Stelle per il voto sul processo: «Ci vorrebbe il 70% di no»
Domani la consultazione. L’incognita di Di Battista
ROMA «Martedì saprete la nostra posizione». Il voto sulla piattaforma Rousseau è fissato per domani, a lui è stato anche chiesto di preparare un video per spiegare i termini della questione Salvini-diciotti che potrebbe andare online già oggi, il canovaccio è stato già scritto ed è pronto per essere recitato, con tutte le parti in commedia già distribuite. Eppure c’è un motivo dietro la scelta di Michele Giarrusso, capogruppo pentastellato nella giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato che dopodomani si esprimerà sulla richiesta dei magistrati di processare il titolare del Viminale, di dribblare microfoni e taccuini trincerandosi dietro quel «martedì saprete» e ignorando i passaggi intermedi.
Quel motivo rimanda alla doppia operazione impossibile che sull’asse Casaleggio Associati-palazzo Chigi stanno mettendo in campo da almeno ventiquattr’ore, tentando in extremis uno dei due «miracoli» — perché di questo si tratta — che al momento appaiono decisamente fuori anche dalla portata di Giuseppe Conte e Luigi di Maio.
Il primo è tentare di convincere Salvini a rinunciare allo «scudo» di Palazzo Madama, di riportarlo cioè alla rotta iniziale («Che mi processino pure») poi invertita con l’ormai celebre lettera al Corriere. Ci avrebbero provato sia il presidente del Consiglio che il collega vicepremier, quest’ultimo forte — dopo la notizia della probabile iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Catania — che analoga sorte potrebbe presto toccare anche a lui. «Se rinviano a giudizio me o Toninelli, ci faremmo processare. Sicuro che a te vada ancora di passare per quello che si fa scudo del Senato?», è stata la sintesi del ragionamento sottoposto da Di Maio al titolare del Viminale.
Il secondo miracolo, visto che il primo difficilmente si realizzerà, è convincere Alessandro Di Battista a scendere in campo in difesa di Salvini. Missione forse addirittura più impossibile della prima, visto che il leader dell’ala barricadera del M5S — intimamente convinto che i senatori debbano votare a favore della richiesta dei magistrati — è praticamente in rotta col gotha del Movimento da una settimana, da quando si è ritrovato sui giornali con gli scomodi galloni del «colpevole» della disfatta abruzzese. Un deputato molto ascoltato a Palazzo Chigi, evocando la notizia di calcio più commentata della settimana, arriva a dire che «con Alessandro siamo alle prese con una specie di caso Icardi all’inter: è il nostro giocatore più forte ma la società è in rotta con lui, e viceversa». Una sua parola toglierebbe più di una castagna dal fuoco dell’ala «governista». A cui, se fallissero i due miracoli, non resterebbe che il piano A.
Già, il piano A. Sperare che a favore del lodo anticipato ieri dal sottosegretario agli Esteri Manlio di Stefano a Sky — «l’autorizzazione contro Salvini non va concessa perché parliamo dell’operato di un governo intero» — si esprima nella votazione della piattaforma Rousseau almeno il 70 percento dei votanti. Con la minoranza ristretta sotto il perimetro del 30 percento, nell’assemblea di deputati e senatori già convocata per lunedì sera, il dissenso interno su tutta la linea (Salvini ma anche il cambio della ragione sociale annunciato da Di Maio) potrebbe essere contenuto. Ma più di un segnale va nella direzione opposta. La (per ora) annunciata presenza di Di Battista, che pure non è parlamentare, potrebbe dar fuoco alle polveri. «Dobbiamo contenere i danni», continua a dire ai suoi Di Maio. Perché di questo si tratta. Per ora.
La linea
Il sottosegretario Di Stefano: «Si parla dell’intero governo, no all’autorizzazione»