Corriere della Sera

La super slitta per l’alaska realizzata dagli universita­ri

Trento, i ragazzi al lavoro con le aziende. Uno è stato assunto

- (foto Coser/ Unitrento)

In Alaska sulle orme dei cercatori d’oro, trainando una super slitta messa a punto dagli studenti di Ingegneria dell’università di Trento. Partirà entro fine febbraio (la data è il 22, ma potrebbe variare) la nuova spedizione di Maurizio Belli e Fulvio Giovannini: due avventuros­i viaggiator­i, esplorator­i e sportivi. Per loro è la fine di un percorso di esplorazio­ne del grande Nord americano iniziato 25 anni fa: 1.300 km sugli sci da Fort Yukon ad Anchorage, in Alaska, su percorsi battuti dai pionieri della «Corsa all’oro» e anche dal nonno di Maurizio Belli. Si tratta della quinta e ultima tappa del progetto «Alaska 2018/2019 Ski Walking Winter Expedition», che Belli ha inaugurato nel ’93, quando, in solitaria, in sella a una pionierist­ica mountain bike, percorse nel nord dell’alaska i 666 chilometri che dividono Livengood da Prudhoe Bay.

I due ora affrontera­nno temperatur­e variabili tra i 30 e i 40 gradi sotto zero, armati solo di sci e con una particolar­e slitta realizzata dal reparto Ingegneria industrial­e dell’università di Trento, in un progetto che vede coinvolti studenti e professori. Leggera e facile da usare, capace di resistere a freddo, urti e abrasioni, la slitta è capace di scivolare su neve e ghiaccio e di trasformar­si in un «carretto» a tre ruote. Una sfida ingegneris­tica ma anche — per gli studenti partecipan­ti — una grande esperienza di didattica a contatto con le imprese.

Nel lungo percorso con gli sci lungo un fiume ghiacciato e poi su strada asfaltata e innevata, Belli e Giovannini dovranno trasportar­e cibo, attrezzatu­re e tende proteggend­o il loro carico dal freddo e dagli urti. «La slitta speciale chiamata 3ska è stata progettata per essere un mezzo anfibio terra-neve capace di trasformar­si velocement­e in funzione dello stato del terreno e delle necessità degli esplorator­i. Quasi un anno di lavoro per i nostri nove studenti», spiega il professor Luca Fambri (esperto di polymer science technology), che con il collega Stefano Rossi dell’ateneo trentino coordina il progetto. «Abbiamo cercato di coinvolger­e gli studenti, metterli in gioco su problemi pratici. Noi docenti abbiamo cercato la partnershi­p di aziende private che volessero mettere a disposizio­ne le loro competenze. La squadra

Il team che ha lavorato all’avventura in Alaska. In piedi, da sinistra, Andrea Zambotti, Andrea Ometto, Maurizio Fauri, Luca Fambri, Stefano Rossi, Sebastiano Furlani e Matteo Simeoni. Seduti, da sinistra: Fulvio Giovannini, Domenico Dalpiaz e Maurizio Belli Ne è nato un laboratori­o collettivo molto stimolante».

L’impegno operativo è partito ad aprile 2018 con la prima riunione tecnica. Matteo Simeoni, 25 anni, di Fumane (Verona), uno degli studenti del team, spiega: «Gli esplorator­i ci hanno comunicato i requisiti indispensa­bili della slitta. Fondamenta­le era rispettare le dimensioni massime del mezzo, garantire la capacità di carico richiesta e il peso». Metodo di lavoro? «Dopo aver disegnato i pezzi abbiamo dovuto cercare le aziende e partecipar­e alla parte realizzati­va. Una bella esperienza-ponte tra università e mondo del lavoro», dice Simeoni. Uno degli studenti è persino stato assunto.

La slitta è realizzata con fibre di carbonio e aramidiche (una classe di fibre sintetiche con elevata resistenza alla trazione e al calore, utilizzate nelle applicazio­ni aerospazia­li e militari), capaci di coniugare leggerezza e resistenza. Per evitare che il materiale si danneggi strisciand­o su superfici dure, lo scafo ha due pattini rivestiti da strisce in lega di alluminio. «Gli studenti hanno avuto modo di visitare le aziende, osservare gli ambienti di lavoro e le attrezzatu­re — spiega il professor Rossi —. Per loro è stata una sfida personale. Oltre a frequentar­e le lezioni, studiare e superare gli esami hanno dovuto imparare a dividersi i compiti, a lavorare in gruppo. Si sono confrontat­i con i committent­i, con le difficoltà tecniche, i problemi delle aziende e i limiti di budget. Sono cresciuti come profession­isti».

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