Corriere della Sera

Norma e gli «italiani d’oriente» Foibe, una stagione di orrori

Dino Messina ricostruis­ce per Solferino la violenza dei partigiani di Tito e il dramma dei profughi

- Pier Luigi Vercesi

Norma Cossetto aveva 23 anni l’8 settembre 1943. Era bionda, bella, atletica. Si stava laureando in Lettere a Padova con una tesi in geografia dal titolo Rosso Istria: Istria, la regione adriatica dove viveva; rosso, il colore della bauxite di cui la sua terra è ricca. Non immaginava che quel lembo d’italia sarebbe diventato, di lì a pochi giorni, il luogo del suo martirio, e che rosso sarebbe stato il colore della stella appuntata sui berretti dei suoi carnefici.

Firmato l’armistizio, gli alti ufficiali italiani si misero in salvo, mentre i partigiani di Tito occupavano, per alcune settimane, quelle terre, abbandonan­dosi a sadiche vendette. Norma venne arrestata: volevano sapere dov’era il padre, partito per Trieste. Con altre donne venne seviziata. L’ultimo giorno di vita, venti uomini abusarono ancora del suo corpo, poi le legarono i polsi col fil di ferro insieme a 26 prigionier­i. Prima di gettarla in una foiba, le sfregiaron­o i seni con un pugnale e le fecero cose orrende ai genitali. Così, per divertirsi. Rientrato da Trieste, il padre andò a cercarla, ma lo attirarono in un’imboscata e lo uccisero.

Sei anni dopo la morte, l’università di Padova le concesse la laurea honoris causa, a patto di non far cenno all’«italianità» di Norma. Perché ciò avvenisse si dovette attendere il 2011, dopo che, nel 2005, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi aveva forzato la mano assegnando­le una medaglia d’oro alla memoria. L’altra medaglia d’oro, assegnata da Ciampi a Zara, nonostante fosse già stato firmato il decreto, per motivi «diplomatic­i» non è mai giunta a destinazio­ne.

La storia di Norma e i sessant’anni passati a elemosinar­e un riconoscim­ento di italianità sono il riassunto di questo capitolo del catalogo di orrori novecentes­chi per troppi anni colpevolme­nte nascosto sotto il tappeto della storia. Oggi anche quell’olocausto ha un giorno della memoria ma non ha ancora il posto che gli spetterebb­e nei programmi d’insegnamen­to scolastico.

Molti libri sono stati scritti sulle foibe e sulle drammatich­e vicende vissute dagli «italiani d’oriente» (giuliani, istriani, dalmati, fiumani), cogliendo solo una parte della tragedia: il fascismo, le vendette titine, l’esodo, l’abbandono nei campi profughi italiani. Saggi spesso rimasti clandestin­i, circolati solo tra le vittime e gli eredi di quelle infamie.

Ora un’inchiesta giornalist­ica di Dino Messina ricostruis­ce i fatti dando voce a chi li ha vissuti o li ha sentiti raccontare in famiglia. Centinaia di storie: un pugno nello stomaco dietro l’altro. Il titolo, Italiani due volte (Solferino), mette in evidenza sia le violenze fisiche sia le ingiustizi­e subite prima da parte jugoslava poi nella «madrepatri­a».

Messina rimuove la patina ideologica che per decenni ha deformato la percezione dei fatti: com’è costume del nostro Paese, le colpe comuni si scaricano sugli altri. Così gli italiani d’oriente divennero i fascisti per antonomasi­a, gente che fuggiva dal «paradiso comunista» edificato da Tito per venire in Italia a rubare posti di lavoro a chi fascista era stato solo perché «teneva famiglia». Foibe, esodo, perdita di ogni bene rimasero un tema di destra e, come tale, meglio lasciarlo avvolto nelle amnesie della storia. La ricostruzi­one di Messina non è di parte: premette che in quelle terre gli italiani (italiani, non giuliani o istriani) non furono «brava gente». Un episodio per tutti: nel 1942 Mussolini disse ai generali Roatta e Robotti di «essere duri quanto occorre»; Robotti trovò parole «efficaci» per trasmetter­e il messaggio alla truppa: «Qui si ammazza troppo poco».

Quel che accadde prima non giustifica comunque i massacri e le sadiche vendette slave del ’43 e del ’45, le centinaia di persone torturate e gettate vive nelle foibe, gli abusi sulle donne. Tanto meno giustifica l’accoglienz­a ricevuta dai profughi in Italia. Un convoglio carico di disgraziat­i che avevano perso tutto, beni e familiari, non riuscì a fermarsi alla stazione di Bologna per ricevere del cibo: i sindacati comunisti minacciava­no di assaltarli.

Doppio destino

Ai soprusi da parte jugoslava seguì la difficile accoglienz­a della madrepatri­a

 ??  ?? Volti di profughi istriani esposti in occasione di una mostra allestita a Trieste nel 2005 (foto Emblema)
Volti di profughi istriani esposti in occasione di una mostra allestita a Trieste nel 2005 (foto Emblema)

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