L’altalena tra verità ed emozione L’eterno dibattito sul paesaggio
Nato nel ‘600 come genere minore, poi il suo successo sovvertì il mercato dell’arte
Fra una veduta di Venezia del Canaletto e una di Guglielmo Ciardi passa circa un secolo e le differenze sono immediatamente evidenti. Nessuno potrebbe confonderle. Eppure dev’esserci un filo, un’eredità, che ancora le lega. In che cosa e perché è cambiato il linguaggio della veduta? Sarebbe facile rispondere che le maniere dei due pittori ci appaiano tanto diverse perché il passaggio dall’illuminismo al Romanticismo ha mutato la visione da un approccio prospettico «scientifico» e documentario ad uno evocativo. E certo è vero. Ma la spiegazione non è solo così schematica.
L’oscillazione fra verità ed emozione, infatti, è sempre stata presente nella pittura di paesaggio fin dal XVII secolo, l’epoca in cui nacque come un genere minore, ma già con l’ambizione di conquistare parti da solista. Fino ad allora il paesaggio aveva giocato solo un ruolo secondario, confinato nello sfondo dei dipinti dove, a fare da protagonisti, erano le figure rappresentate nelle scene religiose, storiche o allegoriche. Eppure, ha sostenuto il critico, scrittore e pittore britannico John Berger, «ogni volta che la tradizione pittorica a olio subì una modifica significativa, l’iniziativa partì dalla pittura di paesaggio». L’affermazione è audace, e tuttavia non si può negare che quando finalmente conquistò la scena, il genere riscosse un successo tale da sovvertire il mercato, come ci raccontano le lettere di Owen Mcswiny, impresario teatrale ed ex attore che, nel 1711, aveva lasciato la Gran Bretagna per sfuggire ai creditori e a Venezia era diventato il primo procacciatore di Canaletto per i lord inglesi. Il suo compito non era facile, come spiegava nel 1727 al duca di Richmond: «L’individuo è capriccioso e cambia i suoi prezzi ogni giorno e chi vuole i suoi lavori non deve darlo a vedere perché sarebbe trattato peggio, sia nel prezzo che nella qualità del dipinto. Ha più lavoro di quel che può fare in un tempo ragionevole e bene».
Insomma, nel giro di nemmeno un secolo, il nuovo genere era diventato molto ambito dai collezionisti. All’inizio, nel corso del Seicento, non si distingueva ancora tra «vedute di paesi» e «vedute urbane» e ad eccellere furono soprattutto gli artisti dei Paesi Bassi, avvantaggiati dalla tradizione cartografica acquisita per accontentare i mercanti che mandavano le loro merci in ogni parte del globo.
La magnifica veduta di Delft di Vermeer risale al 1660 ed è un esito già maturo di quel filone che da tempo esploravano anche a Roma i colleghi nordici come van Heemskerck, Cornelis Cort, van Cleve, van Poelenburgh, van Swanevelt mescolando paesaggio, rovine e vedute urbane. L’italia fu la palestra privilegiata anche per il più grande di loro, Gaspar van Wittel che con le sue vedute panoramiche diede una svolta al genere rendendolo ricercato e competitivo. Se all’epoca l’intento era di natura prevalentemente documentaria, nel giro di breve tempo subentrò un’intonazione nostalgica ed evocativa. Lo si vede già nel passaggio fra le vedute di Canaletto a quelle del nipote Bellotto o di Francesco Guardi che slittano dalla verità al capriccio d’invenzione; dalla luce alla tonalità scura della malinconia. L’oscillazione fra «vero fotografico» e la sua trasfigurazione sentimentale, debutta dunque già come una costante in questo genere pittorico e si ripete di nuovo nell’ottocento dove, alla presa diretta e minuziosa dei pittori della scuola di Barbizon, l’impressionismo risponde con uno stile che esalta la fuggevolezza emotiva dell’attimo, senza alcuna intenzione di fissare la permanenza. Anche Ciardi si sposta dalla descrizione della natura al tentativo di penetrarne il segreto; dalla visione alla contemplazione e alla memoria. Dunque trovandosi così, rispetto alle vedute del Canaletto, nella stessa situazione di Cézanne che diceva di Monet: «non è che un occhio, ma buon Dio che occhio!».
L’ex attore irlandese Mcswiny a Venezia divenne per i lord il maggior procacciatore di dipinti di Canaletto
Nuovo punto di vista Anche Ciardi passa dalla descrizione della natura al tentativo di penetrarne il segreto