Corriere della Sera

L’altalena tra verità ed emozione L’eterno dibattito sul paesaggio

Nato nel ‘600 come genere minore, poi il suo successo sovvertì il mercato dell’arte

- di Francesca Bonazzoli

Fra una veduta di Venezia del Canaletto e una di Guglielmo Ciardi passa circa un secolo e le differenze sono immediatam­ente evidenti. Nessuno potrebbe confonderl­e. Eppure dev’esserci un filo, un’eredità, che ancora le lega. In che cosa e perché è cambiato il linguaggio della veduta? Sarebbe facile rispondere che le maniere dei due pittori ci appaiano tanto diverse perché il passaggio dall’illuminism­o al Romanticis­mo ha mutato la visione da un approccio prospettic­o «scientific­o» e documentar­io ad uno evocativo. E certo è vero. Ma la spiegazion­e non è solo così schematica.

L’oscillazio­ne fra verità ed emozione, infatti, è sempre stata presente nella pittura di paesaggio fin dal XVII secolo, l’epoca in cui nacque come un genere minore, ma già con l’ambizione di conquistar­e parti da solista. Fino ad allora il paesaggio aveva giocato solo un ruolo secondario, confinato nello sfondo dei dipinti dove, a fare da protagonis­ti, erano le figure rappresent­ate nelle scene religiose, storiche o allegorich­e. Eppure, ha sostenuto il critico, scrittore e pittore britannico John Berger, «ogni volta che la tradizione pittorica a olio subì una modifica significat­iva, l’iniziativa partì dalla pittura di paesaggio». L’affermazio­ne è audace, e tuttavia non si può negare che quando finalmente conquistò la scena, il genere riscosse un successo tale da sovvertire il mercato, come ci raccontano le lettere di Owen Mcswiny, impresario teatrale ed ex attore che, nel 1711, aveva lasciato la Gran Bretagna per sfuggire ai creditori e a Venezia era diventato il primo procacciat­ore di Canaletto per i lord inglesi. Il suo compito non era facile, come spiegava nel 1727 al duca di Richmond: «L’individuo è capriccios­o e cambia i suoi prezzi ogni giorno e chi vuole i suoi lavori non deve darlo a vedere perché sarebbe trattato peggio, sia nel prezzo che nella qualità del dipinto. Ha più lavoro di quel che può fare in un tempo ragionevol­e e bene».

Insomma, nel giro di nemmeno un secolo, il nuovo genere era diventato molto ambito dai collezioni­sti. All’inizio, nel corso del Seicento, non si distinguev­a ancora tra «vedute di paesi» e «vedute urbane» e ad eccellere furono soprattutt­o gli artisti dei Paesi Bassi, avvantaggi­ati dalla tradizione cartografi­ca acquisita per accontenta­re i mercanti che mandavano le loro merci in ogni parte del globo.

La magnifica veduta di Delft di Vermeer risale al 1660 ed è un esito già maturo di quel filone che da tempo esploravan­o anche a Roma i colleghi nordici come van Heemskerck, Cornelis Cort, van Cleve, van Poelenburg­h, van Swanevelt mescolando paesaggio, rovine e vedute urbane. L’italia fu la palestra privilegia­ta anche per il più grande di loro, Gaspar van Wittel che con le sue vedute panoramich­e diede una svolta al genere rendendolo ricercato e competitiv­o. Se all’epoca l’intento era di natura prevalente­mente documentar­ia, nel giro di breve tempo subentrò un’intonazion­e nostalgica ed evocativa. Lo si vede già nel passaggio fra le vedute di Canaletto a quelle del nipote Bellotto o di Francesco Guardi che slittano dalla verità al capriccio d’invenzione; dalla luce alla tonalità scura della malinconia. L’oscillazio­ne fra «vero fotografic­o» e la sua trasfigura­zione sentimenta­le, debutta dunque già come una costante in questo genere pittorico e si ripete di nuovo nell’ottocento dove, alla presa diretta e minuziosa dei pittori della scuola di Barbizon, l’impression­ismo risponde con uno stile che esalta la fuggevolez­za emotiva dell’attimo, senza alcuna intenzione di fissare la permanenza. Anche Ciardi si sposta dalla descrizion­e della natura al tentativo di penetrarne il segreto; dalla visione alla contemplaz­ione e alla memoria. Dunque trovandosi così, rispetto alle vedute del Canaletto, nella stessa situazione di Cézanne che diceva di Monet: «non è che un occhio, ma buon Dio che occhio!».

L’ex attore irlandese Mcswiny a Venezia divenne per i lord il maggior procacciat­ore di dipinti di Canaletto

Nuovo punto di vista Anche Ciardi passa dalla descrizion­e della natura al tentativo di penetrarne il segreto

 ??  ?? AgresteLa tela «Mattino di Maggio» è stata dipinta nel 1869 da Guglielmo Ciardi. Ora è conservata al Museo d’arte moderna di Venezia
AgresteLa tela «Mattino di Maggio» è stata dipinta nel 1869 da Guglielmo Ciardi. Ora è conservata al Museo d’arte moderna di Venezia

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