La scoperta della pittura all’aperto poi lo sguardo sociale e destrutturato Ognuno rivoluzionario a modo suo
Il curatore: «Hanno valorizzato zone limitrofe al Grand Tour»
Si respira l’aria pura, si sente il profumo dei fiori appena sbocciati e dell’erba fresca. E soprattutto si ha come l’impressione di avere davanti agli occhi Guglielmo e i suoi figli, Beppe ed Emma, appena giunti sulle amate montagne delle Dolomiti o nei paesaggi pedemontani a loro cari sopra Treviso. Eccoli, mentre poggiano il cavalletto ed insieme dipingono la natura, carpendone i segreti, le emozioni più nascoste per trasmetterle intatte e addirittura più forti in chi osserverà ammaliato i loro quadri.
I Ciardi. Paesaggi e Giardini, la mostra che si è aperta ieri a Conegliano Veneto nella prestigiosa cornice di Palazzo Sarcinelli (sino al 23 giugno, da martedì a domenica, www.mostraciardi.it) rappresenta un viaggio che coinvolge tutti i sensi, alla scoperta di un’esperienza artistica familiare che è stata irripetibile nella storia della pittura italiana. «A Venezia, a cavallo tra ‘800 e ‘900, esistettero altri nuclei familiari che diedero vita a produzioni artistiche prolifiche ma i Ciardi — racconta il curatore della mostra, Giandomenico Romanelli — sono unici per la somiglianza di stili e al tempo stesso la diversità espressiva che li ha contraddistinti. Un famiglia che ha dato vita a un cambiamento radicale nell’evoluzione della pittura di paesaggio veneta e nazionale: Guglielmo fu rivoluzionario perché passò da una pratica accademica convenzionale all’en plein air, portò il pennello dentro la natura, in campagna, spinto dagli insegnamenti all’accademia di Belle Arti di Venezia del fotografo e pittore Domenico Bresolin che chiedeva ai propri allievi di liberarsi dai condizionamenti e di non limitarsi a riprodurre brani di paesaggio già dipinti. Li esortava quindi ad andare in baita con tavolozza e ombrello per difendersi dai raggi crudi del sole».
Oltre alle qualità artistiche, i Ciardi, come traspare chiaramente da questa esposizione, ebbero il grosso merito di far conoscere e valorizzare territori che lambivano l’itinerario classico del Grand Tour, in particolare la pianura bagnata dal fiume Sile. E seppero leggere anche i fenomeni sociali con la crudezza del cronista.
«Guglielmo ci portò in laguna, mostrandoci come vivevano i pescatori, fu anche un po’ un documentarista della vita quotidiana — prosegue Romanelli —, in un periodo coevo a quello in cui i pittori francesi scoprivano la verità del vivere, come ad esempio fece Courbet. Oltre a manifestare tratti comuni all’impressionismo».
La lente di osservazione dei Ciardi fu rivolta anche verso l’alto, alle montagne che incorniciano l’orizzonte appena oltre Venezia e la sua laguna mostrando un’ulteriore originalità. Lassù, infatti, svettano le Dolomiti, le Alpi Carniche. Tanto è vero che nella mostra di Conegliano si riconoscono l’altipiano di Asiago, dove Guglielmo prese casa, e San Martino di Castrozza.
Beppe è quello dei tre Ciardi che da più tempo non godeva di un palcoscenico illustre come quello di Palazzo Sarcinelli: «Lui era attratto e influenzato dal simbolismo, in particolare da Böcklin, fu uno sperimentatore, molto europeo, attento alle pulsioni artistiche che attraversavano in quegli anni il continente — dice ancora Romanelli —, mentre Emma, bollata erroneamente come pittrice minore di salotti e boudoir, ville e giardini, in realtà destruttura il linguaggio della pittura del suo tempo e lo immette nella modernità, una donna single che gira il mondo tra Francia e manieri inglesi, ottenendo un mercato straordinario anche negli Stati Uniti, anch’ella perciò a suo modo rivoluzionaria».