Il «grandissimo» contro l’antidivo
E nel Pd Zedda spera nella competizione tra i gialloverdi
«La Sardegna avrà un grandissimo presidente!», grida la sen. Anna Cinzia Bonfrisco incitando i pescatori all’osanna. «Come tonnellaggio senz’altro», gongola lui, l’aspirante governatore Christian Solinas detto «Salvinas» per il patto di ferro col leghista alle Regionali di domenica.
Chilogrammi? «Non lo so», risponde, «Mi rifiuto alla bilancia». Chi meno sa, meno patisce. «Ciccioformaggio», lo chiamano i soliti spiritosoni. Con varianti sul tema. Lui pare non pigliarsela troppo. Anzi, sa bene che le sue rotondità di lontana scuola democristiana («anche se l’unico partito che frequentai in gioventù fu l’udeur di Francesco Cossiga: ebbene sì, sono stato tra gli "straccioni di Valmy"») servono appunto a smorzare e arrotondare le spigolosità del suo principale sponsor, Matteo Salvini. Col quale si alleò l’anno scorso portando in dote un partito vecchio di 98 anni, il Partito Sardo d’azione, e ricevendo in cambio un seggio senatoriale. E l’alleanza di oggi.
Un traditore, accusano i suoi ex compagni di strada oggi acerrimi nemici ricordando un datato inno apocrifo leghista che a un certo punto faceva: «Per tirar la conclusione / sulla razza del terrone / che comprende quella sarda / voterem Lega lombarda». Doppio traditore, l’ha accusato ieri Massimo Zedda, il sindaco uscente di Cagliari candidato da democratici e dintorni: «Solinas incontrò Fassino a Cagliari. Qualche giorno dopo, a Roma incontrò Lotti, Guerini, Rosato e Fassino; concordò la sua candidatura in un collegio sicuro e vennero accolte tutte le sue richieste. Successivamente disse che sarebbe tornato a Roma, ma quella stessa mattina andò a pranzo con Zaia». Morale: «Chi vende se stesso, la propria storia, le proprie radici, la propria dignità per un posto al Senato, per la poltrona, immaginate cosa potrebbe fare con il governo della Regione, in balìa di un partito con una connotazione egoista e anche un po’ fascista come la Lega…»
Accusa a doppio taglio: se era così spregevole e pronto a vendersi perché il Pd lo voleva con sé e gli fece la stessa offerta? C’è chi dirà: non si sapeva ancora che… Anche qui, però, la tesi zoppica. Non solo Solinas era già stato schierato a destra come assessore ai trasporti nella giunta berlusconiana di Ugo Cappellacci. Ma al momento dell’offerta Pd era già finito sui giornali per almeno un paio di accuse recuperate e rilanciate nelle ultime settimane. La prima è di aver bruciato un patrimonio con la «flotta sarda», cioè la fallimentare decisione di spingere la Saremar, la società regionale che gestiva i collegamenti con la Corsica e le isole minori ad affittare dei traghetti per fare concorrenza alle grandi compagnie sulle rotte tirreniche: un disastro. La seconda, essersi fatto una laurea «alla Trota», per citare Renzo Bossi, volando nel maggio del 2006 fino a Bucarest per ricevere (con tanto di foto non ancora rimossa, spiega su ilrisvegliodellasardegna.it) l’ambita carta del «Leibniz Business Institute», già denunciato due volte dall’authority italiana.
Fastidio? Certo che danno un po’ fastidio, questi ricordi, al candidato forte della destra che vorrebbe parlare solo di sviluppo e turismo. Ma lui sorride e tira dritto. Si presenta nel curriculum ufficiale come «laureato in Giurisprudenza (V.O. Ante Riforma)», spiega al cronista di non essere «né avvocato penale né civile» e di «non aver mai esercitato» perché fa lo «storico del diritto», racconta di avere un’aziendina che fa un vino popolare («Populista no?» «No, popolare») e spiega che sì, con Matteo Salvini si trova benissimo. Così come con tutte le altre liste: undici. Racchiuse in una circonferenza, per restare al tema, che va da Forza Italia al suo Psd’az, dalla Lega all’udc ad altre quattro liste sardiste.
Gli autonomisti, del resto, non mancano anche fuori dal recinto destrorso. Se la battono anche il «Partito dei Sardi» del filologo indipendentista Paolo Maninchedda, «Sardi liberi» di Angelo Carta
«Salvinas»
Il candidato del centrodestra scherza: io grande? Come tonnellaggio di sicuro
e Mauro Pili, presidente regionale per un paio d’anni, «Autodeterminatzione» di Andrea Murgia. Più, si capisce, la Sinistra Sarda che punta su Vindice Lecis per «rifondare la sinistra» e disturbare quel «moderato» di Zedda. E infine il M5S che l’anno scorso sembrava avere già in tasca la futura giunta regionale.
Presero il 42,6% nell’isola, i grillini, il 4 marzo 2018. Ma quanto sia cambiata l’aria l’hanno mostrato poche settimane fa le elezioni suppletive per il subentro ad Andrea Mura, il deputato velista. Sulla carta, come ricorderete, non c’era partita. Invece vinse, grazie al crollo grillino, il candidato di centrosinistra. Una brutta botta, per il partito di Luigi Di Maio. Rischia di ripetersi? Francesco Desogus, il funzionario pubblico scelto dalle regionarie come candidato a governatore grazie al 450 voti online contro 422 dell’avversario, si dice ottimista. Ma certo, lo sa che dopo la batosta in Abruzzo un’altra sconfitta sarebbe drammatica per il movimento. Il fatto che si parli poco di lui («Sono l’antidivo»), che sia la sua prima campagna elettorale e che non abbia mai incontrato Beppe Grillo in vita sua non lo scoraggia: «Anche l’anno scorso siamo usciti a sorpresa dalle urne». Quanto a Salvini e alla concorrenza gialloverde è netto: «Contro Salvini al 300 percento».
È anche su questa rivalità che conta Massimo Zedda. Che gira come una trottola, guidandosi la macchina da solo fino a trattorie disperse come a Villacidro nel medio Campidano, per incitare ciò che resta della sua ammaccata sinistra alla riscossa. E passa indignato dai prezzi del pecorino nelle grandi gastronomie di Milano («e noi siamo ancora qui a discutere del latte pagato una miseria come discuteva un secolo fa Gramsci!») alle ingiustizie di un mondo dove c’è chi possiede l’8% del pianeta («neanche Giulio Cesare, Napoleone, i Faraoni hanno mai avuto tanto»), dalla denuncia della dispersione scolastica fino ai tradimenti di tutte le speranze di sviluppo: «L’altro giorno in un paese mi hanno urlato: c’hanno portato via pure il parroco!».
Quanto sia dura la sfida per costruire un altro modello di sviluppo, diverso, dopo tanti errori e fallimenti (soprattutto ma non solo ambientali) lo dice un dato Eurostat: nel 2000 la Sardegna stava all’86% del reddito medio europeo, la regione bulgara dello Yugozapaden al 35%. Dal 2016 sono davanti i bulgari: 72% a 71%. Un crollo di 64 punti. Il tutto con governi di sinistra e di destra. Riuscirà, il voto di domenica, a offrire prospettive e anche leadership diverse?