Corriere della Sera

I 1.371 miliardi fermi sui conti degli italiani

NON SI INVESTE, NON SI SPENDE, NON SI INCASSANO INTERESSI: ECCO IL PREZZO DELLA PAURA PER GLI SCENARI ECONOMICI E NEL 2018 SONO «EMIGRATI ALL’ESTERO» 8,9 MILIARDI DI LIQUIDI

- Di Milena Gabanelli e Giuditta Marvelli

Non si investe, non si spende, non si incassano interessi. Ecco il prezzo della paura per gli scenari economici. E nel 2018 sono «emigrati all’estero» 8,9 miliardi. Come rimettere in circolo il denaro.

D i che cosa hanno paura gli italiani quando parliamo di soldi? Del futuro, di rischiare troppo, di perderli? Partiamo dai numeri di Banca d’italia: dei 4.287 miliardi di ricchezza finanziari­a posseduta dalle famiglie italiane, ben 1.371 miliardi sono parcheggia­ti sui conti correnti. Non si incassano interessi, non si spende, non si investe. Secondo l’abi, nel 2018, i depositi della clientela residente sono aumentati di 32 miliardi rispetto al 2017. Una cifra uguale alla manovra di bilancio approvata a fine dicembre.

Negli anni 2005-2006 il «polmone» di liquidità dei privati rappresent­ava il 23% del totale, nel 2009 è salito al 29%, oggi siamo al 32%. Lo stesso discorso vale per le imprese. Alla fine dell’anno scorso, fra titoli immediatam­ente convertibi­li e contante, tenevano immobilizz­ati circa 340 miliardi di euro, oltre il 20% del Prodotto interno lordo, raggiungen­do il livello più elevato degli ultimi venti anni.

Zero interessi sui conti correnti

Dai dati Abi il tasso di remunerazi­one medio di questa liquidità è pari allo 0,38%. Ma scendendo nel dettaglio degli strumenti più usati dalle famiglie si scopre che i conti correnti tradiziona­li rendono zero e costano: 142 euro per una famiglia che fa 228 operazioni l’anno. Il rincaro, negli ultimi tre mesi, è stato del 3,7%. Il dato si riferisce a una media su sette banche italiane, secondo un’indagine de L’economia del Corriere della Sera del gennaio 2019. Meno costosi, 26 euro per la stessa famiglia, sono i conti online delle principali banche che hanno scelto la strada di avere solo (o quasi) canali digitali. Ma anche i conti di deposito vincolati, dove sono parcheggia­ti circa 500 miliardi — e che non servono per depositare stipendi, fare prelievi o appoggiare accrediti delle bollette — non sono generosi. Questi salvadanai digitali offrono in media lo 0,5% netto a chi lascia fermi i soldi per un anno. A differenza dei conti operativi non costano, ma l’inflazione marcia allo 0,9% su base annua: la remunerazi­one non è sufficient­e a mantenere integro il capitale «parcheggia­to».

Chi ha poco risparmia chi ha molto non investe

Ovviamente non tutti i correntist­i italiani hanno tanti soldi fermi. La distribuzi­one della ricchezza, anche quando si parla di denaro subito disponibil­e, è sempre più diso-

mogenea. Dalla ricerca Ipsos-acri di ottobre 2018, solo il 78% (-2% rispetto al 2017) potrebbe far fronte ad una spesa imprevista di mille euro. Mentre il 36% (+2%) potrebbe affrontare un’emergenza da 10 mila euro. In sostanza aumenta chi se la cava meglio, mentre chi ha poco, ha sempre meno. Che cosa sta succedendo adesso? Con la frenata del Pil e la recessione «tecnica» ormai certificat­e, gli imprendito­ri che intendono fare investimen­ti nel 2019 sono scesi dal 25% all’11%. Le famiglie sono sempre più prudenti: la propension­e al risparmio è salita all’8,1% del reddito disponibil­e. Significa che se guadagno 100 euro, cerco di metterne via 8.

Le paure degli italiani

Che cosa preoccupa di più? Il 53% degli italiani muniti di conto corrente indica la recessione, il 40% la possibile perdita del lavoro, il 27% teme un aumento delle tasse. Mentre alla domanda: «Che cosa farebbe se le regalasser­o centomila euro?», il 47% risponde «li metterei da parte». Solo il 14% dei correntist­i li investireb­be in azioni, fondi o prodotti finanziari (sondaggio Anima Gfk). Ma quan- to costa non investire? Diecimila euro posteggiat­i su un conto infruttife­ro dopo cinque anni diventano poco più di 9 mila, per colpa di costi e inflazione. Investiti in obbligazio­ni internazio­nali, ipotizzand­o di riuscire a ottenere gli stessi rendimenti medi del periodo 1900-2017, dopo cinque anni possono diventare 11 mila. L’elaborazio­ne realizzata da Adviseonly tiene conto di un periodo di tempo molto lungo, in cui si sono susseguiti periodi buoni e stagioni cattive per i mercati.

Quasi 9 miliardi emigrati su conti esteri

Tra la primavera e l’autunno del 2018, prima che il governo trovasse un accordo con l’europa sulla manovra, era tornata in primo piano la paura per una possibile uscita dall’euro, oggi indicata solo dall’11% dei correntist­i nel recente sondaggio di Azimut Gfk. Serpeggia poi il timore di una patrimonia­le. La conseguenz­a è stata quella di mettere in moto l’interesse per l’apertura di conti all’estero, che consentire­bbero di mantenere in euro una piccola/grande quota della liquidità se tornasse la lira. Ma in caso di patrimonia­le ci si ripara dalle tasse? Se non si vuole essere perseguiti per evasione, la risposta è no, poiché l’apertura di conti esteri va riportata nella dichiarazi­one dei redditi. Certo per lo Stato diventa tutto più complicato: non potendo imporre il prelievo automatico a una banca svizzera o maltese, dovrà passare attraverso l’agenzia delle Entrate, con tutti gli inevitabil­i contenzios­i. A conti fatti la liquidità degli italiani emigrata nel 2018 ammonta a 8,9 miliardi. L’analisi dei flussi sui conti correnti ha riscontrat­o un aumento di depositi su conti esteri nel periodo marzo-settembre, ovvero quello più critico.

Le frontiere dei conti online

Quanto costa scappare senza avere capitali rilevanti? Come tenere un conto in Italia, se non di più: a Monte Carlo un prelievo bancomat può arrivare a 10 euro. Ma anche in questo caso il digitale apre strade inedite. Il conto corrente online N26, che opera con licenza tedesca e che è sbarcato in Italia nel 2017, ha spese ridotte all’osso e 300 mila clienti nel nostro Paese (il 13% dei suoi 2,3 milioni sparsi in 24 mercati europei). Chi lo sceglie si trova titolare di un Iban tedesco. Con i soldi a Berlino, senza dover andare in Germania.

Come rimettere in circolo il denaro

Un maggior raccordo tra la capacità di risparmio dei privati e l’economia reale, quella delle imprese e delle opere pubbliche, servirebbe a rompere il clima di incertezza. Oggi a puntare sull’azienda Italia ci sono i Piani individual­i di risparmio: i fondi pieni di azioni e bond di piccole e medie imprese che concedono l’esenzione fiscale a chi resta investito per almeno un quinquenni­o. Una novità che ha raccolto in due anni più di 15 miliardi, finita però in pausa all’inizio del 2019 perché c’è una nuova normativa e un problema di controllo del rischio per gli investitor­i da risolvere. In conclusion­e, questo gigantesco risparmio è il nostro petrolio, se non lo sfruttiamo noi, il sistema si erode e alla fine lo sfrutteran­no altri comprandos­i le nostre banche. Perché allora non ipotizzare che Stato e imprese possano collaborar­e per realizzare infrastrut­ture ad elevato moltiplica­tore, e modernizza­re il Paese coinvolgen­do anche la liquidità delle famiglie. Basterebbe prevedere che parte del fabbisogno finanziari­o venga ottenuto da obbligazio­ni garantite dello Stato, e cioè un investimen­to talmente simile ai titoli di Stato da superare le paure delle famiglie. Un Paese prospera solo quando il denaro circola, non quando resta immobile e sterile su un conto.

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Guarda il video nella sezione «Dataroom» con gli approfondi­menti di data journalism su come gli italiani gestiscono i propri soldi Su Corriere.it

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