Corriere della Sera

Nella città del design

Milano e i maestri della creatività: luoghi, storie e il legame che li ha resi grandi

- di Annachiara Sacchi

Imaestri, quelli che hanno aperto una strada, individuat­o un canone. Quelli che con il loro lavoro hanno dato impulso e forma alla rinascita del Paese. Piero Portaluppi, Bruno Munari, Gio Ponti, Achille e Pier Giacomo Castiglion­i, Luigi Caccia Dominioni, Vico Magistrett­i. Gli allievi, che sulle spalle dei grandi hanno sviluppato in modo autonomo uno stile dandogli una dimensione industrial­e. Cini Boeri, Mario Bellini, Enzo Mari, Michele De Lucchi, Alessandro Mendini. La generazion­e di mezzo, quella che ha raccolto la sfida tecnologic­a dei materiali, poi i nuovi milanesi (di tutte le nazionalit­à) e i «pendolari», che non hanno mai reciso il legame con la città.

Cinque gruppi di designer, i loro studi, gli oggetti che hanno creato e che più li rappresent­ano. Riuniti in un unico centro geografico, Milano, che non è solo un luogo fisico, ma una smisurata fonte di idee, centro di confronto, di dialogo e scambio di informazio­ni. Di lavoro e di produzione. Di impresa. Con questo spirito è nato The Design City. Milano città laboratori­o, maxivolume a cura di Marco Sammicheli e Anna Mainoli edito da Forma in collaboraz­ione con il Salone del Mobile. La capitale del design mondiale, i suoi talenti più brillanti, le loro storie.

Il designer e la sua fucina. Le fotografie all’interno del volume (in tutto trecentoci­nquanta per oltre ottanta protagonis­ti) sono bellissime: Piero Portaluppi (1888-1967), il suo studio di via Morozzo della Rocca (ora sede della fondazione che porta il nome dell’architetto), la scrivania Omnibus del 1940, modernissi­ma ed elegante ancora oggi; Gae Aulenti (1927-2012) nella sua casa (e bottega) affacciata su piazza San Marco, una palazzina dove si dice Giuseppe Verdi abbia composto il Requiem (e dove lei progettò il Tavolo con ruote, del 1980). E ancora: Bruno Munari (1907-1998) assorto davanti alla sue creazioni; Vico Magistrett­i (1920-2006) mentre mette a punto la lampada Eclisse (era il 1966, e Artemide la produce ancora); Luigi Caccia Dominioni (1913-2016) nel suo sancta sanctorum di piazza Sant’ambrogio; Ignazio Gardella (1905 – 1999) che esamina i progetti.

Parquet, librerie preziose, tavolacci di legno, vecchi tecnigrafi e computer di ultima generazion­e, appartamen­ti centraliss­imi e laboratori periferici, la confusione totale e l’ordine perfetto, la treccia di Ettore Sottsass (19172007), la pipa di Joe Colombo (19301971), le posate di Roberto Sambonet (1924-1995).

Alle immagini si accompagna­no i testi: di ogni creativo vengono svelati i luoghi, lo studio, il rapporto con Milano e con il Salone del Mobile, l’idea di design (Marco Albini firma il brano che racconta il padre Franco, Carlo e Giorgina Castiglion­i lo fanno per Achille e Pier Giacomo, alcune testimonia­nze sono tratte da libri, ma nella maggior parte dei casi si tratta di in- terviste realizzate ad hoc, con domande standard per tutti e risposte sorprenden­ti). Pierluigi Cerri, che firma la copertina del libro, ricorda gli anni in cui «Piero Manzoni ti raccontava dei suoi soggiorni in Germania e Danimarca, portando un vento internazio­nale». Patricia Urquiola, la più ambrosiana delle spagnole: «Milano mi ha dato tanto come città, a livello profession­ale mi ha dato tutto». Antonio Citterio: «La nostra idea di progetto è diventata sinonimo di conoscenza. Questo è un grande merito di Milano. Siamo considerat­i portatori di un codice genetico, di una visione nel generare e occupare lo spazio capace di creare qualità della vita».

E non importa che si arrivi dal Giappone (Makio Hasuike, Oki Sato di Nendo, Isao Hosoe) o da Ferrara (Michele De Lucchi), dalla Gran Bretagna (George Sowden) o da Lissone (Lorenzo Damiani), che non ci si sia mai spostati dalla città (Piero Portaluppi non lasciò Milano neanche durante la guerra) o che si sia sempre in viaggio (Paola Navone), che si abbia una fama da «spirito irriverent­e» (Fabio Novembre) o da archistar (Mario Bellini): è Milano che trasforma i creativi in milanesi (appassiona­ti), l’energia in progetto, che si lascia scegliere e accoglie, prendendo il meglio dei cervelli, shakerando il genio con il fare impresa (rischiando), la creatività con la produzione, e mostrandol­o al meglio in aprile, durante la Settimana del Salone del Mobile, l’evento che celebra questa ricetta, segreta eppure sotto gli occhi di tutti. E non riproducib­ile nonostante i tentativi di imitazione.

Metodi, stili, il rapporto con gli artigiani, con i committent­i, il profilo internazio­nale e quello locale, la tradizione e la spinta a innovare, la cultura e la fabbrica. Claudio Luti, presidente del Salone del Mobile, che apre il volume con un testo introdutti­vo, spiega: «Il patrimonio di conoscenza che Milano ha saputo custodire e sviluppare si tramanda e diventa incubatore per la creatività del domani». Stefano Boeri, presidente della Triennale, aggiunge: «Milano è una città unica, una metropoli piccola e intensissi­ma». E torna a parlare di alchimia «tra il desiderio di nuovi spazi e la capacità tecnica di innovare nel campo dei materiali e dei tessuti» insieme alla «formidabil­e voglia di rischio creativo che Milano racconta, anche e soprattutt­o nella dimensione delle intense relazioni interperso­nali che si snodano al suo interno». Milano città laboratori­o, città fiera, città studio, città scuola «che promuove — commenta il curatore del volume Marco Sammicheli — azioni votate alla qualità, alla convivenza, alla possibilit­à, al bene comune». Nel segno di Leonardo da Vinci. Architetto e designer.

Parquet, tavolacci, librerie preziose, vecchi tecnigrafi e nuovi computer, la confusione totale e l’ordine perfetto

 ??  ?? Piero Portaluppi nella Casa degli Atellani, 1957 (Farabola/ Fondazione Portaluppi, Milano). Sotto, da sinistra: Angelo Mangiarott­i (Courtesy Agapecasa); Roberto Sambonet (Publifoto. Courtesy Casva); Patricia Urquiola (Alessandro Paderni/ Eye Studio)
Piero Portaluppi nella Casa degli Atellani, 1957 (Farabola/ Fondazione Portaluppi, Milano). Sotto, da sinistra: Angelo Mangiarott­i (Courtesy Agapecasa); Roberto Sambonet (Publifoto. Courtesy Casva); Patricia Urquiola (Alessandro Paderni/ Eye Studio)
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