Malala e le altre «Le nostre vite in fuga dall’odio»
Il libro Garzanti-corriere
Nel 2012, Malala Yousafzai fu ridotta in fin di vita solo perché voleva andare a scuola, in Pakistan, «fucilata» sul pullman scolastico dai talebani, per i quali incarnava un’impensabile ribellione: una donna che studia. Sopravvissuta, Premio Nobel per la pace nel 2014, oggi ventunenne, continua a difendere le donne che fuggono da persecuzioni e guerre: a loro dà voce nel suo libro Siamo tutti profughi (scritto con Liz Welch, traduzione di Sara Caraffini, Giuseppe Maugeri, Chiara Ujka, pp. 165, in libreria per Garzanti e in edicola con il «Corriere della Sera» a 12,90 più il costo del quotidiano), e lo fa per un motivo semplice: «Rimango sempre molto colpita — scrive Malala — quando la gente considera la pace come qualcosa di scontato».
Anche le ragazze di cui Malala raccoglie le testimonianze nel volume hanno creduto che la guerra sarebbe rimasta lontana, che i talebani sarebbero stati fermati nel Paese vicino, che il dolore non le avrebbe colpite. Invece accade. La guerra distrugge le case e smembra le famiglie, come racconta nel libro Zaynab, ragazza yemenita divisa dalla sorella durante la fuga. La persecuzione colpisce Farah, cui nel 1972 viene tolta la cittadinanza ugandese dal regime di Idi Amin, perché appartiene a una minoranza: 150 mila persone scovate casa per casa, cacciate all’improvviso sotto la minaccia dei fucili.
Sono impensabili le storie di queste donne: sfollate, rifugiate, dell’età di Malala o più giovani, in Siria o nello Yemen della guerra, nel Myanmar, in Guatemala (in appendice ci sono i numeri del fenomeno). Appartengono a diverse religioni — musulmane, cattoliche, avventiste — e sono costrette dalla violenza, dalle bombe, o anche solo dalla condizione femminile, a corse disperate attraverso il mondo. «Non ho scelto io di fuggire», spiegano. E si chiedono: «Perché è successo? È questa la nostra vita, adesso?».
Sono atti di resilienza e di lotta: le donne devono continuare a combattere per la loro dignità anche dopo, nei campi profughi, quando la pace sembra ritrovata. Lo racconta Muzoon, siriana che Malala incontra in un campo: ma anche convincere una ragazza a rifiutare un matrimonio combinato tra le baracche, e a pretendere di studiare, è una piccola vittoria della speranza.