Firmate Gandini
Una mostra celebra il grande designer che rinnega la Miura: «È piena di difetti»
TORINO C’è qualcosa di speciale nel tributo che Torino e il mondo dell’auto stanno riservando a Marcello Gandini. La mostra «Il genio nascosto», con cui il Museo Nazionale dell’automobile onora il grande designer fino al 26 maggio, è un’occasione attesa. Ma c’è dell’altro. I cinquecento fortunati che hanno accompagnato Gandini all’inaugurazione, dopo il taglio del nastro, non erano solo gli amici di una vita, la Torino delle quattro ruote, i fan super-esperti del Museo. Sembrava un po’ di essere a teatro, quando torna a recitare una stella.
Gandini, mezzo secolo dopo la Miura, lascia ancora interdetti, affascina, mette tutti d’accordo. Tra le sale della mostra c’è Michael Robinson, ultimo direttore alla Bertone. Si sbraccia, si accalora, proclama che la «Gandini-revolution» (motore centrale-abitacolo avanzato) è stata la più grande innovazione per l’auto sportiva.
Accanto c’è il carrozziere Alfredo Stola: a tutti quelli che incontra ripete «quarant’anni di lavoro, inebriante, senza mai litigare. Meglio di un matrimonio!» Persino Giorgetto Giugiaro, l’avversario più temibile (Pininfarina, in fondo, faceva cose diverse), gira tra i prototipi in mostra: «È tutto ancora così moderno» dice con un sorriso esterrefatto.
La Miura, la Stratos Zero, la Marzal, la Carabo: chi le ha mai viste sotto lo stesso tetto? Nessuno, da mezzo secolo. Sono venute dalle più grandi collezioni, dall’america e d’oltralpe. Come si fa con gli Impressionisti.
La gente va avanti e indietro, le dream-car che non temono il tempo ruotano lente sulle pedane. Ma il pubblico lancia gridolini anche davanti alla popolana Renault Supercinque, o alla Guzzi V7 o alla Mini Bertone. Così pratica, spaziosa, luminosa, se messa a confronto con il capolavoro di Issigonis. Perché Gandini non ha fatto solo Lamborghini. Anzi: «pensare in piccolo dice lui - dà più gusto».
E poi l’elicottero ultraleggero e il camion ultrapesante, quel Magnum Renault che ha dato una cabina da yacht alla ciurma dei camionisti. Quante cose ha fatto Gandini! Ma lui non cade nel tranello. Dove gli altri celebrano, lui dà un colpo di spugna.
«La Miura la rifarei tutta diversa». Ma come? È un mito.
«Infatti ho dovuto accettarlo. Dar ragione alla gente. Ma, mi creda, è piena di difetti». E la Stratos Zero?
«Fu una follia che Bertone mi lasciò fare. Un grand’uomo che aveva coraggio». E le auto di oggi? Ce n’è qualcuna che le piace?”
«Se rispondo rischio di sembrare presuntuoso». Allora a quale delle sue è più affezionato?
«A quella che devo ancora fare. Anzi, che sto facendo in questi giorni». Ma non è un controsenso?
«Per nulla. Nei tempi di decadenza c’è molto spazio per le idee nuove». Ce ne racconti una, almeno un pezzetto.
«Non posso fare nomi, ma i miei progetti sono sempre concreti. Altrimenti non mi interessano». Però quanti sono rimasti nei cassetti?
«Tanti, anche in quelli dei clienti, che dopo averli comprati non hanno avuto il coraggio
di applicarli». L’esempio più clamoroso?
«La Renault Piccola del 1983. Era una utilitaria quasi tutta di plastica. Aveva la metà dei pezzi di una Panda e si assemblava senza linea di montaggio».
Avantissimo. Ma bisognava ripensare anche la fabbrica.
«Esatto. Basta file interminabili, capannoni chilometrici, la vecchia tecnica della nave in bottiglia». Prego?
«Facciamo la automobili come un secolo fa. Una scatola chiusa, da riempire all’ultimo di mille componenti». Forse pretendevate troppo.
«E infatti, invece della Piccola, nacque la Twingo. Un’auto come tutte le altre».
L’entusiasmo che circonda Gandini viene anche da questi progetti segreti, che la gente scopre trent’anni dopo. Idee geniali ma anche semplici, di cui i potenti, talvolta, hanno avuto paura. E poi il modo di fare del Maestro. Così morigerato, così umano.l’opposto di chi strombazza tutti i giorni, secondo la moda del momento. È ora di andare. Domani, sul presto, Gandini ha la conference-call per un nuovo progetto. Prima di lasciare la festa c’è il tempo di chiedergli se rifare una Miura, o un’espada, con la tecnologia di oggi lo divertirebbe.
«Il post-modern non fa per me. Da quando giocavo con il Meccano, ho sempre cercato costruire cose che non erano nel libretto delle istruzioni».
Però qualcuno parla di una sua auto perduta, quasi un anello mancante, che un grande marchio sta ricostruendo in questi mesi con lei: «Lei può ben dirlo. Ma io non posso in nessun modo commentarlo».
Sembra una battuta di The house of cards». Bisognerà aspettare le puntate della nuova serie, a primavera.
Sogni infranti
«Che peccato non aver mai realizzato la Renault Piccola, era un’auto rivoluzionaria»