MA NON È UN GIORNO DI GLORIA
Per come è andata, il Movimento Cinque Stelle non vive un giorno di gloria; semmai di imbarazzo. Dovrà spiegare perché un gruppo dirigente decide di scaricare una decisione politica delicata e controversa sui propri «elettori»: virgolette d’obbligo, visto il numero esiguo e variabile dei votanti, poco più di cinquantamila. È forte il sospetto che lo abbia fatto perché non ha avuto il coraggio di assumere questa responsabilità come gruppo parlamentare, e di rivendicarla in nome di buone ragioni o della realpolitik. E sarà difficile contestare l’accusa di avere addomesticato la votazione; e di avere ottenuto un «verdetto popolare» sulla sorte di Matteo Salvini non tanto dal Movimento e dai suoi numerosi eletti, ma dalla piattaforma privata Rousseau di Davide Casaleggio.
I problemi tecnici che hanno fatto rinviare e poi slittare a tarda sera la consultazione sono uno spot involontario alla democrazia parlamentare rispetto a quella diretta. Decantata dal grillismo, quella online ieri è stata ridotta a caricatura per la difficoltà anche solo a connettersi. Si può stare certi che il vicepremier Luigi Di Maio e la maggioranza inneggeranno alla partecipazione democratica: sebbene il sentore di manipolazione sia acuto, e non solo nei paraggi delle opposizioni.
L e contorsioni del M5S; le dissociazioni, in parte rientrate, di alcune sindache; e il sarcasmo, attenuato in corsa, di Beppe Grillo, sono segnali di un disagio evidente. E forse un espediente per lavarsi la coscienza di fronte a un esito poco trasparente.
L’ operazione è poco spiegabile soprattutto ai propri militanti. Per gli altri, il trauma non è così forte. In fondo, è difficile che la responsabilità di tenere bloccati i migranti della nave Diciotti possa essere fatta risalire al solo Matteo
Sembra la certificazione di uno spregiudicato accordo per sfuggire al dovere di scegliere
Salvini. La decisione è stata avallata da tutto il governo, seppure obtorto collo. Ma per il Movimento il problema va oltre il j’accuse di presunto sequestro.
Incrocia i malumori verso un «contratto» che conviene al leader leghista, e magari a Di Maio e alla Casaleggio Associati; sempre meno, a dare retta ai sondaggi, al M5S. E pone un dilemma di fondo: se i seguaci grillini possano tollerare che un ministro alleato si difenda «dal» processo, e non «nel» processo, con l'avallo dei loro parlamentari. Significherebbe abbattere uno dei pilastri storici della loro ideologia.
È per sottrarsi a questo dilemma che i vertici hanno deciso di consultare la Rete. Potranno sostenere che il «no» all’ autorizzazione a procedere contro Salvini è arrivato da loro; che i capi si sono limitati a ubbidire alla «volontà digitale» collettiva, pronti a sacrificare un pezzo della loro anima manichea sull’altare del barcollante governo giallo-verde. Ma deve essere chiaro che quanto è accaduto ieri, quale che sia il responso, rappresenta il primo vero spartiacque del dopo 4 marzo. Ufficializza un patto di potere così forte e profondo da archiviare tutte le chiacchiere sul cambiamento. Potrebbe essere un passaggio positivo, e segnare la transizione verso la maturità politica. Invece appare il contrario: un tentativo estremo di tenere insieme logiche governative e di piazza; giustizialismo delle origini e conflitto con la magistratura; promesse spropositate e rischio di condannare l’italia alla recessione. Evitare in questo modo contorto che Salvini sia processato non rafforza nessuno: nemmeno il leader leghista, che inizialmente aveva detto di volere essere rinviato a giudizio. E ripropone l’immagine di un Di
Legislatura L’unico aspetto confortante è che lo scambio indica una confusa voglia di stabilità
Maio subalterno e di un Movimento lacerato.
Sembra la certificazione di un accordo spregiudicato. A gestirlo è un’ oligarchia che si fa scudo dei propri elettori, o meglio di una piccolissima frazione, per sfuggire al dovere di scegliere: un precedente che prima o poi le si ritorcerà contro. L’unico aspetto confortante è che lo scambio tra M5S e Lega indica una confusa voglia di stabilità. Dunque rimane difficile pensare che, dopo ieri, le due forze di maggioranza pensino a uno strappo a breve termine per anticipare la fine della legislatura. Ma per breve termine si intendono le prossime settimane. Dopo le Europee di maggio, si rivedrà tutto: anche gli equilibri e le identità del 4 marzo, consegnati di colpo al passato.