Imprendibile e imprevedibile come Duchamp
Lo studio di Alessandro Mendini, meglio conosciuto come Atelier Mendini, è in una zona operaia della vecchia Milano: una bottega aperta ai saperi, l’abitazione nello stesso edificio, perché il pensiero di Alessandro era sempre al lavoro, fino a poche ore fa. Scendeva da una scala ripida per partecipare ai progetti, come se arrivasse da una sorta di mondo delle idee di Platone. Essere sempre al lavoro, significa che le parole sono cose, al di là della durata fisica degli oggetti. Imprendibile e imprevedibile, come Duchamp, direttore di riviste molto diverse tra loro, ha sempre creduto al design e all’architettura non solo come discipline, ma in quanto sismografi della nostra esistenza quotidiana, dalla «Poltrona Proust» (1978), alla personificazione del cavatappi, «Anna G» (1994). Un’eredità senza tempo perché per lui la superficie costituisce un insieme di indizi, che sta a noi cogliere, in un processo interpretativo infinito. Questa è la sua grande eredità. Ci sono architetti che, pur partecipando al proprio tempo, possiedono un orizzonte che non si esaurisce nelle loro opere, va oltre, e Alessandro era uno di questi. «Per me è normale avere intorno persone diverse con competenze diverse, come mio fratello Francesco, perché solo così è possibile permettere al nostro lavoro di arrivare più a fondo, rispetto a chi è condizionato da burocrazia, denaro, industria». Mendini ci ha insegnato che non è sufficiente disegnare; è molto più importante pensare al mondo come un laboratorio senza limiti disciplinari, dove esercitare con le mani e la mente la libertà di essere sempre se stessi: il suo linguaggio sarà sempre riconoscibile, nonostante le imitazioni.