Corriere della Sera

IL PD TRA «STRANE» ALLEANZE E NUOVE DIVISIONI POSSIBILI

- Di Michele Salvati

Verso il congresso Se le contraddiz­ioni nel governo esplodesse­ro, sinistra liberale e sinistra tradiziona­le nei Dem entrerebbe­ro in contrasto sul rapporto con il M5S

Di molte cose può essere rimprovera­to il Partito democratic­o, prima fra tutte il conflitto tra due orientamen­ti — uno di sinistra liberale, l’altro di sinistra tradiziona­le — che non consente agli elettori di capire che razza di animale politico sia. Ma accusarlo di non aver compreso il mutamento del contesto elettorale che si è verificato in Italia e in tutto l’occidente industrial­izzato nell’ultimo decennio sottovalut­a l’intensità e la velocità di questa svolta: tutti i «vecchi» partiti di centrosini­stra sono stati presi in contropied­e. E lo sono stati anche tradiziona­li partiti di centrodest­ra, se non avevano anticipato gli orientamen­ti nazionalis­ti e populisti di nuove formazioni politiche cresciute come funghi dopo una pioggia abbondante.

Un conto è però comprender­e, un altro è reagire. Renzi aveva cercato di reagire, di intercetta­re il nuovo clima politico, e fin quando ha assecondat­o la voglia di novità e di «rottamazio­ne» che fiutava in giro il consenso non gli è mancato. Ma poi ha dovuto smorzare i toni populistic­i iniziali, anche senza abbandonar­li del tutto. E i provvedime­nti del suo governo, alcuni ben pensati, altri meno, stanno in buona misura nell’ambito moderato e «ragionevol­e» di una sinistra liberale. Che cosa sarebbe avvenuto se essi fossero stati meglio preparati e cadenzati nessuno può dirlo: uno dei tecnici dei governi Renzi e Gentiloni, Marco Leonardi, in un bel libro appena uscito (Le riforme dimezzate), pensa che ciò avrebbe fatto una notevole differenza. Ma se quei governi volevano restare sul piano della «ragionevol­ezza» non avrebbero certo potuto promettere un vero «reddito di cittadinan­za» e un’«abolizione della Fornero», o adottare una politica verso i migranti e un atteggiame­nto verso l’europa come quelli sostenuti dai partiti populisti. E non avrebbero certo potuto gridare «tutti a casa»: per gli elettori arrabbiati del marzo dell’anno scorso anche Renzi e Gentiloni facevano parte del vecchio e anche loro andavano rottamati.

Primarie

Il segretario sarà eletto al più presto il 3 marzo e probabilme­nte lo scontro interno proseguirà

La sconfitta discendeva da un lontano passato di mancate riforme, da un presente di ristagno e di povertà, da un futuro senza prospettiv­e di benessere immediato, e da un contesto di rabbia e mobilitazi­one estremisti­ca degli elettori. Una svolta radicale sia nelle politiche, sia e soprattutt­o nella classe politica, una svolta com’era quella che demagogica­mente prometteva­no i populisti, non era adottabile dal Partito democratic­o (aggiungo: per fortuna) e la sconfitta era nell’aria. Questa è però una conclusion­e raggiunta con dosi abbondanti del senno di poi e non assolve le responsabi­lità dei dirigenti di quel partito.

Come ho accennato all’inizio la loro responsabi­lità maggiore è quella di non essere riusciti a dare agli elettori un’idea chiara di che cosa sia il partito e di quali siano le proposte che esso rivolge agli italiani: fin dall’inizio, la reazione interna contro la svolta renziana è stata estrema e non ha certo giovato all’identità del partito, anche se allora i suoi organi dirigenti erano ampiamente controllat­i dai sostenitor­i della svolta. Oggi sono passati più di due anni dalla sconfitta referendar­ia e dalle dimissioni del governo Renzi e quasi uno dalla batosta elettorale e dalle dimissioni di Renzi dalla segreteria nazionale. La campagna

Opportunit­à

Di fronte ai problemi è necessario presentars­i con un’identità chiara e condivisa

elettorale per le Europee è in corso, ma, a seguito di ritardi nel congresso dovuti a dissensi interni, un nuovo segretario sarà eletto al più presto il 3 marzo: tutto fa prevedere che lo scontro tra le due linee politiche che si sono combattute nel recente passato continuerà nel prossimo futuro con diversi protagonis­ti, complicato dall’ombra di Banquo di un Renzi di cui non si capiscono le intenzioni.

Il prossimo futuro è irto di problemi di fronte ai quali presentars­i con un’identità chiara e condivisa sarebbe necessario. Finora, di fronte alle insensatez­ze e ai danni del governo a doppia trazio- ne populista, il gioco dell’opposizion­e è stato relativame­nte facile, non ha creato contrasti significat­ivi all’interno del Pd e ha persino consentito una certa convergenz­a con Forza Italia. Ma se, com’è possibile, le contraddiz­ioni tra i 5 Stelle e la Lega esplodesse­ro, se — con o senza nuove elezioni — si andasse a un governo di destra a egemonia leghista, il contrasto tra le due linee presenti nel partito tornerebbe a dividerlo seriamente. Perché una cosa è una linea di sinistra liberale, attenta alle condizioni di sofferenza dei ceti più poveri ma consapevol­e delle debolezze storiche del nostro Paese e dello sforzo e dei tempi necessari per porvi rimedio. Un’altra e ben diversa è una linea di sinistra tradiziona­le, nella quale spira una forte corrente di simpatia nei confronti di una parte dei 5 Stelle.

Una simpatia comprensib­ile. Una parte dei dirigenti e degli elettori di questo movimento non è una costola della sinistra, come una volta D’alema disse della Lega per giustifica­re lo scontro tra Bossi e Berlusconi. È una parte reale della sinistra più estremista e confusa che il nostro Paese ha prodotto, e che la sinistra di governo non ha mai ripudiato con argomenti chiari e convincent­i. E sarebbe questa a condurre la lotta più accanita contro la destra di Salvini. Una lotta di opposizion­e in cui 5 Stelle e Pd si troverebbe­ro appaiati e nella quale sarebbe arduo distinguer­e gli aspetti «ragionevol­i» da quelli estremisti e velleitari. In tal caso l’evoluzione del Pd verso un partito di sinistra liberale sarebbe ritardata, se pure riuscirà a evitare una nuova spaccatura.

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