Il camaleonte degli Oscar
Verso la notte delle stelle L’attore favorito per «Vice» Christian Bale: «Vengo da una famiglia di artisti del circo La mamma faceva il clown, il nonno era un prestigiatore»
Irriconoscibile per i 20 chili in più e i radi capelli bianchi, Christian Bale, 45 anni, è letteralmente diventato Dick Cheney in Vice, il film di Adam Mckay che ha portato alla Berlinale, per il quale il divo gallese è in corsa agli Oscar come miglior attore. Con Rami Malek è il favorito. «Della mia candidatura sono onorato, naturalmente. Ma la vedo soprattutto come una passerella per un film di cui vado orgoglioso».
Cosa fa, tiene il basso profilo?
«Posso essere irascibile, a volte ho la battuta che può irritare. Ma non mi sveglio al mattino e allo specchio mi dico: sei una star. Mi vedo come un attore che può aiutare un film. L’importante è non prendersi troppo sul serio. La celebrità può combinare brutti scherzi».
Cheney, il vicepresidente che comandava il presidente, come si diceva al tempo di George W.bush, l’uomo nell’ombra, il lato disturbante della Casa Bianca.
«È stato proprio questo ad avermi attirato: il potere del silenzio. Un uomo che, dopo una gioventù turbolenta, è stato al centro della politica americana per quasi mezzo secolo, esercitando un ruolo sulla situazione politica mondiale (penso alla guerra in Iraq), riuscendo a restare dietro le quinte. Ma sempre nei luoghi del potere. Era una sorta di godimento, di suo piacere personale restare in disparte. Un uomo misterioso, un tecnocrate che ha coltivato la discrezione, l’incarnazione della linea dura dei nuovi conservatori americani».
Ora è di nuovo tonico e in grande forma. Bale, ovvero l’arte del trasformismo.
«Nei primi tempi incontravo gente che aveva visto i miei film ma non riusciva a capire chi diamine fossi».
Ha rischiato di passare come l’attore dal volto meno conosciuto più conosciuto al mondo.
Sorride: «In L’uomo senza sonno interpreto un operaio che soffre d’insonnia e pesa cinquanta chili: ne avevo persi trenta rispetto al mio peso forma. In American Hustle la gente ricorda il mega riporto, e la bilancia si era impennata a novantaquattro chili. In The Fighter sono un pugile tossico; e vestito da Batman mi sembrava di soffocare, soffrivo di claustrofobia. Mi sono detto: cosa fai, rinunci perché hai il panico per il costume che indossi?».
La sua versatilità (un passato tra il rugby e la chitarra) ce l’ha nel sangue.
«Mio padre era pilota, poi attivista per i diritti degli animali; mamma faceva l’artista circense. Da bambino, vederla vestita da clown tra elefanti e leoni era spaventevole e fantastico; il nonno faceva il ventriloquo e il prestigiatore. Siamo una famiglia di camaleonti».
Come ha vissuto la straordinaria trasformazione in «Vice»?
«Ore e ore di trucco. Ero diventato una specie di bulldozer, avevo messo su 20 chili e oltre. Il mio corpo mi ha parlato e ho dovuto ascoltarlo: non farlo più se non vuoi morire presto! Se mi avessero preso a pugni, in quel fisico imponente non credo che avrei sentito nulla».
Qual è il significato politico del suo film?
«È anche il ritratto di una certa America, Cheney è il risultato di cinquant’anni di una politica seguita alla rivoluzione reaganiana. Siamo tutti dell’idea, Adam, io e il resto del cast, di avere raccontato una tragicommedia, una storia drammatica e ironica».
Come si è preparato?
«Mi sono documentato e concentrato sulla totale ambiguità di Dick Cheney, padre devoto e politico spregiudicato. Sono uno che si affida all’istinto, anche se vivo in maniera ossessiva i personaggi. Questa è stata un’operazione complicata, potevamo spaccare l’opinione pubblica, avere consenso o infastidire».
Ha parlato della sua fonte d’ispirazione demoniaca…
«A Berlino abbiamo ricordato il siparietto avvenuto ai Golden Globe. Il regista mi ha chiesto se mi fossi ispirato all’arcangelo Gabriele e io ho risposto: no, a Satana! Si vede che il mio destino è di interpretare personaggi con aspetti oscuri».
E Trump?
«Lui è completamente diverso dal nostro personaggio ombra. Non ha avuto alcuna reazione. Non penso che sia in grado di guardare un film per due ore. Cheney in politica è stato un personaggio migliore di Trump».