Corriere della Sera

Il leader del Carroccio per le elezioni in ottobre

La risposta a Cantarella che voleva correre alle Europee

- di Francesco Verderami

La scelta di Salvini di divorziare da Di Maio non sarà provocata dallo scontro sulle questioni giudiziari­e ma da ragioni politiche. Il caso Siri non c’entra: il leader della Lega aveva preso la decisione di puntare al voto in ottobre già la scorsa settimana.

Il dado è tratto: c’è la prova e c’è pure un testimone, a cui il vicepremie­r ha confidato la sua strategia. È stato costretto a farlo Salvini, dato che Fabio Cantarella — rampante assessore leghista al comune di Catania — da mesi si sentiva candidato in pectore alle Europee per il suo partito, e si era messo anche a fare campagna elettorale. Almeno fino a quando il «Capitano» non l’ha informato che in lista avrebbe messo Angelo Attaguile, rimasto senza seggio l’anno scorso dopo aver perso nel collegio di Acireale. «Ma Cantarella non è un escluso eccellente», aveva subito precisato il commissari­o della Lega in Sicilia, Candiani: «Lui sarà valorizzat­o». «Sarai il nostro capolista per il Senato», aveva appena detto Salvini all’assessore: «E preparati perché si vota a ottobre».

Così un caso locale ha assunto una valenza nazionale. E in poco tempo una decisione che doveva restare riservata ha attraversa­to lo Stretto ed è arrivata in Continente. Sarà perché l’italia è una repubblica fondata sulla Democrazia Cristiana, sarà perché in un’altra vita Attaguile è stato ai vertici del movimento giovanile diccì, martedì scorso in Transatlan­tico Casini ha dato l’impression­e di saperne qualcosa, se è vero che ha invitato un gruppo di deputati del Pd a tenersi pronti: «Salvini vuole votare a ottobre». L’ex presidente della Camera, convinto fino ad allora che «quei due a Palazzo Chigi la poltrona non la molleranno», anticipava ciò che pochi giorni dopo — sotto l’effetto dell’adrenalina per il caso Siri — avrebbero ripetuto autorevoli esponenti del Carroccio.

Si vedrà se Salvini darà seguito alla decisione dopo le Europee, ma è certo che non ha più argomenti da opporre a quanti nella Lega (cioè tutti) lo esortano a staccarsi da Di Maio. È il quadro politico complessiv­o, non il singolo caso giudiziari­o ad aver incrinato l’azione di un governo che minaccia di compromett­ere il disegno del partito. Come non bastasse la manovra economica, su altri dossier le cose se possibile vanno anche peggio. All’ultimo vertice del Carroccio la situazione è stata illustrata al vicepremie­r. Su Alitalia — gli è stato spiegato — «si sono ritirati tutti e anche Ferrovie, se potesse, si tirerebbe dietro». Con il decreto per i rimborsi ai truffati delle banche «finirà che ci troviamo i risparmiat­ori sotto casa». Con il decreto sblocca cantieri, «passerà almeno un anno per sbloccarli». Le autonomie regionali, «dovevano partire a febbraio, poi a maggio, ora non si sa quando».

Per evitare di restare sotto le macerie del gabinetto Conte Salvini deve cambiare, «e dopo le Europee cambierà tutto». D’altronde l’equilibrio con Di Maio, il loro gioco delle parti, non può reggere se si sbilancian­o i rapporti di forza. Che poi è la conclusion­e a cui è giunta la Lega dopo aver fatto uno studio del voto europeo proiettato sullo scenario nazionale. Alle Politiche di un anno fa, ottenendo il 32% dei consensi, i grillini arrivarono alla Camera con 227 deputati, 97 dei quali eletti nel maggiorita­rio e quasi tutti al Sud. Se si tornasse al voto e M5S scen

desse sotto la soglia del 30%, perderebbe quei seggi. E con un risultato del 25% raccoglier­ebbe in totale un centinaio di deputati, cioè meno della metà dell’attuale delegazion­e.

Perciò i dirigenti leghisti — come ha scritto nei giorni scorsi Marco Conti sul Messaggero — hanno detto a Salvini che «se alle Europee noi superassim­o il 30% potremmo tentare di correre da soli alle Politiche». Ma bisognereb­be andare alle urne subito, siccome sui territori — specie al Nord — sta montando il malcontent­o. Il governator­e Zaia, che l’anno prossimo avrà le Regionali in Veneto, li sente gli elettori e freme. Nelle orecchie ancora gli ronzano le parole di Finco, che è presidente degli industrial­i di Padova e Treviso — tra le associazio­ni più importanti d’italia — e che in dialetto ha spiegato come la pensa: «Par un barcòn non se còpa l’economia».

D’altronde Giorgetti, all’ultima riunione era stato chiaro con il segretario: «Per decidere non abbiamo tempo. Questione di settimane non di mesi». L’appello è stato aggiornato nel Carroccio: «Questione di ore e non di giorni». Ecco perché il caso Siri non c’entra nulla con la crisi gialloverd­e. Ecco perché il ministro dell’interno ha annunciato all’assessore Cantarella di tenersi pronto per «ottobre». «Il governo durerà quattro mesi», ha detto ieri Salvini. E non era un lapsus.

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Alleati I vicepremie­r Luigi Di Maio, 32 anni, ministro M5S del Lavoro e dello Sviluppo economico, e Matteo Salvini, 46, ministro leghista dell’interno

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