La «hard Brexit» di Annunziata R.M.
Lo si sapeva già, perché è scritto nelle sue schede biografiche, ma non lascia sicuramente indifferenti sentire Annunziata Rees-mogg raccontare con voce bene educata di essersi avvicinata al Partito conservatore nel 1984, quando aveva cinque anni, e di avere «combattuto» per i Tories in ogni elezione a partire dal 1987 (a quell’epoca ne aveva addirittura otto). La preferita era Margaret Thatcher. Theresa May, al contrario, «è stata il peggior premier della nostra storia».
Tutto ciò accadeva una settimana fa, a Coventry, durante una manifestazione in cui è stata lanciata la sua candidatura nel Brexit Party, la creatura partorita dalla fantasia inesauribile di Nigel Farage. Nonostante questa lunga militanza, che risale a quando giocava con le bambole, per Annunziata Rees-mogg è arrivato insomma il momento dell’addio, definito «una scelta non presa alla leggera». «Bisogna salvare la nostra democrazia», ha detto, tra gli applausi dei sostenitori di un divorzio senza regole dall’europa. Salvare la democrazia, proprio così.
Figlia del leggendario direttore del Times Lord William Rees-moog , giornalista anche lei, sorella di Jacob (il leader degli hard Brexiteers e dell’european Research Group, il «partito nel partito» dei falchi conservatori euroscettici), Annunziata è nata nel 1979. La sua carriera politica ha vissuto due momenti sfortunati. Nel 2005 non è riuscita a farsi eleggere parlamentare Tory per il collegio di Aberavon, in Galles. Altrettanto è accaduto nel 2010 a Somerton and Frome, nel Somerset, quando l’ex primo ministro David Cameron le consigliò senza successo di abbreviarsi il nome in «Nancy Mogg». A quei tempi andava di moda infatti il «conservatorismo compassionevole».
Adesso, invece, Annunziata Rees-mogg potrebbe conquistare un seggio abbastanza facilmente. Certo, sempre che in Gran Bretagna si voti il 26 maggio per il Parlamento europeo. Un accordo dell’ultimo minuto lo può evitare. Ma se le elezioni si svolgeranno, la nave di Farage sembra avere il vento in poppa grazie alle contraddizioni degli altri partiti. «A Strasburgo, a Strasburgo!». Per dire no a tutto. O per tornare poi a casa, quando la democrazia sarà salvata.
@Paolo_lepri