Cyrano eroe superstar
Sul grande schermo la genesi del personaggio di Rostand Riletture alla Biennale: combattente a Sarajevo o rapper
Il giubbino di Cyrano non fa in tempo a essere appeso e riposto nei bauli di scena che subito subito arriva un altro attore spadaccino innamorato che se lo indossa. Un momento magico per l’eroe di Rostand visto in controluce dall’alto o dal basso, arrampicandosi su significati nascosti: uomo comune o icona? Campione di altruismo o di ipocrisia? Ben tre spettacoli alla Biennale Teatro di Antonio Latella (22 luglio/5 agosto), riportano Cyrano in scena, con partecipazione di molta musica.
E’ sugli schermi Cyrano mon amour, film che racconta preparativi, liti, capricci, paure dietro le quinte di quel debutto, il 28 dicembre 1897 al Théâtre de la Porte Saint-martin di Parigi, finito con 30 chiamate e gli applausi di Sarah Bernhardt. Lo spettacolo, 5 atti in versi, ebbe 410 recite e l’autore, che sembrava aver perso l’ispirazione, la Legion d’onore. Alexis Michalik ha diretto al cinema il suo spettacolo teatrale che nel 2017 vinse 5 premi Molière grazie alla
commedia eroica più famosa al mondo, con l’attor comico più popolare, Coquelin. Cose di una volta.
Oggi i giovani rileggono Cyrano e ci vedono altri significati, lo fanno accomodare sul lettino di Freud o Jung. Leonardo Manzan, uno dei vincitori di Biennale College under 30 voluta dal presidente Paolo Baratta, riscrivendo il testo con Rocco Placidi, un amico dottore, smaschera il romanticismo. Di Cirano deve morire dice: «L’eroe moralmente immacolato contro ipocrisia e menzogne, è solo una maschera: ma si salva lei, Rossana che dice di aver subìto una impostura sovrumana. Così l’abbiamo riscritto in modo straniante e lo narriamo, non vogliamo che si creda alla finzione, ma abbiamo scelto la struttura di un concerto rap con attori performer rapper vestiti alla 600. Per comunicare che Cyrano non è immacolato ma contraddittorio come tutti noi, il testo va più nel profondo del romanticismo tanto che non sappiamo ancora se gli metteremo il nasone».
Tolto il piano della finzione, Cyrano diventa un nostro contemporaneo e lo dimostra la frequenza con cui negli anni si è sdoppiato: al cinema ebbe il naso di Magnier, Ferrer, Dauphin, Steve Martin, Depardieu, anche di Aldo Giovanni e Giacomo (in Chiedimi se sono felice) mentre in teatro fu best seller di Gino Cervi nel 1953 poi seguito e inseguito da Proietti, Micol, Popolizio, Ferrini, D’elia, Barbareschi.
Nessuno crede più che il testo di Rostand possa riassumersi nei dolci pizzini dei cioccolatini: «Un bacio è un apostrofo rosa tra le parole t’amo». Da Teatri Uniti, Pino Carboni in Assedio legge infatti la storia d’amore a tre interrotta nel raggiunto equilibrio dalla guerra che «non si intende di bellezza né di poesia, arriva e si impadronisce di tutto fino a far sospendere il lavoro. L’assedio, che immagino come quello dei 1427 giorni di Sarajevo, prende Cristiano, ferisce Cyrano e lascia Rossana due volte vedova. E lo spettacolo si spacca in due, diventa concerto e arrivano le musiche militanti di Alessandro Innaro e Marco Messina che ai tempi andarono con le band a Sarajevo, che per me è come Arras per Rostand».
Infine il gruppo dei Quotidianacom col Racconto delle cose mai accadute prima. Roberto Scappin, in scena con Paola Vannoni, due sedie, uno schermo e sei plafoniere ipnotiche al neon, confessa che Rostand è il pretesto di una strana coppia: «Io Cyrano e lei è Nikita, quella di Besson: abbiamo tenuto la vertigine del personaggio, il suo spirito poetico che citiamo; ma il gioco poi passa a noi che ci confrontiamo, ci alterniamo, magari ci scambiamo il naso, scarnificando il cinema e il teatro, storie accadute, immaginate o meno. Ma Cyrano a me piace moltissimo: il suo atteggiamento contro potenti, sbruffoni, ipocriti e cortigiani era da rivoluzionario».