Corriere della Sera

Ma Giorgetti vede più gente agli stadi che alle urne

Dopo il voto la liturgia tra gli alleati per scaricare le colpe di un’eventuale rottura

- di Francesco Verderami

Anche gli inglesi piangono. «E dopo aver visto la May in lacrime, posso davvero dire di aver visto tutto. La verità è che è saltato tutto», perché la fine senza fine della Brexit — secondo Giorgetti — è il paradigma di come una classe politica possa rendersi responsabi­le di un clamoroso fallimento per assenza di riflession­e e di visione.

la causa del progressiv­o distacco tra il potere e i cittadini. Ed è chiaro a chi vuole rivolgersi il sottosegre­tario alla Presidenza, che ha un modo particolar­e per esprimere i suoi timori. Alla vigilia di un voto che è stato preceduto da un’estenuante campagna elettorale ed è stato trasformat­o in una sorta di giorno del giudizio, Giorgetti sostiene che «gli italiani sono più interessat­i a sapere chi saranno gli allenatori della Juventus e dell’inter».

Tradotto, vuol dire che domani potrebbero esserci più file per entrare negli stadi che non ai seggi. E l’astensioni­smo sarebbe già un giudizio politico indicativo, un fattore che dovrebbe essere considerat­o preoccupan­te, specie da chi è al governo. La conta dei consensi — come sempre —

359 giorni

La durata del governo M5s-lega guidato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha giurato al Quirinale il primo giugno 2018

porrà il dato sull’affluenza in secondo piano, ma con la sua battuta il dirigente leghista avvisa che nell’analisi del voto palazzo Chigi dovrà tenere in grande consideraz­ione (anche) quella percentual­e. D’altronde nelle ultime settimane Giorgetti non ha nascosto i suoi pensieri sulle condizioni in cui versa l’esecutivo, ormai «in stallo» e senza più spinta propulsiva.

L’altra sera a Milano, alla cena organizzat­a dalla Camera di commercio americana, è stato se possibile più esplicito: «... E se un governo non produce i risultati promessi, è un delitto dire che sarebbe opportuno ragionare se sia giusto proseguire o fermarsi?». Così ha sollevato il problema della mancanza di riflession­e e soprattutt­o di visione che una politica fast fotonomie od non pare voler affrontare. E che invece a quella convention ha tenuto banco, richiamata persino dall’ambasciato­re statuniten­se: «L’italia potrebbe essere vicina a una relazione davvero speciale con noi. Anche se ultimament­e ci avete fatto prendere uno spavento», con l’accordo siglato insieme alla Cina.

È complicato guidare un Paese se un governo non ha una prospettiv­a, se poi i governi sono due è impossibil­e. E i due governi, quello dei grillini e quello dei leghisti, da dopodomani saranno costretti a rivedersi. Di Maio e Salvini assicurano già ora che si lasceranno alle spalle mesi di feroce campagna elettorale. In realtà si preparano alla resa dei conti. Sarà una lunga liturgia che si svolgerà attorno al «contratto», tutta tesa a scaricare sui rivali-alleati le responsabi­lità di un’eventuale rottura. Le richieste di modifiche al programma da parte del Carroccio saranno direttamen­te proporzion­ali alla percentual­e che incasserà nelle urne, ma già si intuisce che alcune proposte verranno avanzate per essere respinte.

Davvero il Movimento potrà sottoscriv­ere il via libera alla Tav, sconfessan­do la propria storia oltre che il ministro Toninelli? E potrà garantire la firma sulla riforma delle Au

regionali, dopo che il ministro Costa ha bollato le richieste di Veneto e Lombardia come «inconcilia­bili con la Costituzio­ne»? E potrà accettare che nella riforma della giustizia scritta dal Guardasigi­lli Bonafede venga inserita la separazion­e delle carriere per i magistrati? O che siano modificate alcune norme dello Spazza-corrotti e del decreto Dignità? E soprattutt­o come si accorderan­no M5S e Lega sui conti quando a breve arriverà «la grandinata», dietro cui Giorgetti ha voluto celare la previsione di una procedura d’infrazione all’italia da parte dell’europa?

Dall’uno come dall’altro fronte rimbalzano le stesse parole d’ordine: l’obiettivo è «lasciare che siano loro a rompere o rompere impugnando una nostra bandiera». Sono messaggi per tenere all’erta gli eserciti più che segnali per un compromess­o. Anche perché nell’era dei social il consenso si brucia in fretta. La foto di Renzi, che Giorgetti consigliò ai suoi ministri di tenere sulle loro scrivanie, rischia di essere come il ritratto di Dorian Gray.

I negoziati

La Lega pretenderà di modificare il contratto in proporzion­e ai voti delle Europee

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