Citta dina nza
Potrebbe sembrare grigia, dal suono burocratico, protocollare, invece si tratta di un talismano. Potrebbe essere scambiata come prerogativa di chi vive in città, invece copre benevola anche chi vive in campagna.
La cittadinanza è la condizione che ci tiene in salvo dall’arbitrio del regno animale, dalla lotta per la sopravvivenza, dallo schiacciasassi che siamo soliti chiamare legge di natura. Se sei un cittadino sei in salvo, godrai di un nome che ti distinguerà da ogni tuo simile, avrai una storia personale, sarai uguale agli altri ma unico e inconfondibile, ovvero un individuo in possesso dei diritti civili, l’essere tal dei tali, nato il, domiciliato in, tutelato dalle leggi dello Stato (o della Federazione di Stati...) di cui sei cittadino. Ecco perché è un diritto che spetta a ogni uomo, vorrei dire che precede il nostro essere umani. Se siamo uomini è perché siamo prima cittadini e non viceversa. Non a caso è uno dei diritti fondamentali sanciti dalla Dichiarazione universale redatta dall’assemblea delle Nazioni Unite all’indomani della Shoah. Se sei un cittadino nessuno potrà disporre di te, trattarti come un numero, non sarai mai tra quelli che Primo Levi chiama i musulmani: «La loro vita è breve, ma il loro numero è sterminato; sono loro, i Muselmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente». I musulmani di Se questo è un uomo sono senza nome, pura entità biologica, nuda vita. Finché sarai cittadino, la comunità di cui fai parte si batterà attraverso le sue leggi perché tu non finisca d mai così. Inutile dire che, se dovrai allontanarti dalla tua comunità, avrai anche diritto, sempre secondo la suddetta Dichiarazione, «di mutare cittadinanza».
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