100 GIORNI IN VIDEO
UN DOCUMENTARIO DOPO 28 TAPPE GLI EUROPEI CHE ABBIAMO VISTO
Cento giorni per fotografare un momento. Quello che sta attraversando l’europa alla vigilia delle elezioni più attese. Oggi troverete sul sito del Corriere un documentario interattivo che prova a mettere insieme i pezzi di quello che abbiamo raccolto viaggiando in questi tre mesi con 28 giornalisti, e i fotografi di Prospekt, in tutti i Paesi dell’unione.
Cosa significa essere europei? Cosa ci fa paura di quella che Javier Cercas, incontrato a Barcellona, definisce «l’unica utopia ragionevole» del nostro tempo?
Il continente che abbiamo visitato è una giostra: molti non vedono l’ora di salire, altri vogliono scendere. E non tutti vanno alla stessa velocità. C’è un’europa che funziona, soprattutto al Nord, e che dà molto ai suoi cittadini: lunghi congedi per i genitori in Svezia, stipendi a tutti gli studenti universitari in Danimarca, enormi aiuti alle start-up digitali in Estonia, case agevolate in Austria e la ricetta della felicità (sauna compresa) in Finlandia. Ma i confini dell’unione ospitano realtà piene di contrasti. Di vite difficili. Come quelle dei bambini bulgari in affido, in perenne attesa di una famiglia che sia per sempre. O delle badanti romene con la «sindrome Italia», tornate a casa dopo anni passati a curare i nostri anziani, rinunciando a stare accanto ai propri figli. O dei ragazzi greci che scappano dal Paese in cerca di lavoro, diretti verso l’europa «dei banchieri», causa e rimedio ai loro mali.
Un’europa in perenne movimento, sogno per le migliaia di migranti in attesa alle
sue porte, come quelli che abbiamo conosciuto a Malta.
Utopie e distopie. Due facce di questi anni complicati. Gli anni delle ferite lasciate nelle nostre comunità dal terrorismo islamico, ferite che con fatica, abbiamo visto a Bruxelles, stiamo ricucendo. Gli anni di un risorgente nazionalismo come quello di Pegida a Dresda, dove abbiamo ascoltato slogan che risvegliano fantasmi del passato, in un continente che ha avuto la guerra alle porte, una guerra spesso dimenticata come ci hanno raccontato a Lubiana, fino agli anni Novanta.
Zagabria è l’ultima arrivata e mentre dai Balcani bussano nuovi membri, lo choc ancora irrisolto della decisione britannica di lasciare l’unione fa risuonare la parola exit anche a Est. Eppure proprio sul ponte Carlo dell’euroscettica Praga, nelle voci di polacchi, inglesi, scozzesi, olandesi, si sente il suono di una identità comune che a strappi e con fatica si affianca a quelle nazionali.