È più Armani di me»
Lo stilista in Giappone: la sua semplicità estetica è anche la mia, con gli studenti mi sono commosso
donna giapponese che ho in testa! Non poteva essere così. Un Armani che rivede Armani con una ricerca più libera ed emotivamente più chiara». Poi ci sono i ricordi come la prima volta, nel 1982, per un premio: «Non capivo perché fossi lì tra i grandi. C’era Karl Lagerfeld che insieme a mister Fairchild mi fecero da mentori. Mi insegnarono a usare le bacchette. Ero timidissimo».
Il passato e il presente in Giappone convivono con grande raffinatezza, sostiene lo stilista. Come non cogliere il parallelo con il suo lavoro? Mai come in questo show che è storia e futuro: «Qualcosa di diverso ma non troppo, mai retrò e mai assurdo. Forse è questo il segreto del mio successo: sfiorare la provocazione e fare subito marcia indietro per riequilibrare l’estetica». Gli eccessi armaniani? Accostamenti inusuali, forme liberatorie: una scarpa che stona, un luccichio improvviso, un tessuto inaspettato, una collana di troppo, uno stivaletto-calzino, le bretelle da monello, un cappello fez bizzarro, il denim usato come fosse shantung di seta.
Ben 134 uscite, una trentina dedicate all’uomo — assaggio della collezione di giugno — con un occhio più che attento al mercato: «È una cruise collection, destinata alla vendita, quella vera. Cioè l’80 per cento degli ordini. Detesto chi in questi show fa cose eccezionale. Questa è una collezione che rientra domani e abbiamo già i compratori alle porte». E non solo gli riesce assai bene il compromesso con il mercato, ma sembra soddisfarlo più del solito: «Perché non c’era la malefica realtà degli show delle fashion week che obbligano i creativi ad essere stravaganti per fare contente le signora della moda. Questo gioco, lo sapete, a me non piace: considero il mio lavoro troppo seriamente».
Lo show è un susseguirsi di assaggi armaniani: tailleur
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La collezione Detesto chi in questi show fa cose eccezionali. Noi abbiamo già i compratori alle porte