Corriere della Sera

Lo chiamavano Nuvola Rossa, non mollava mai

- di Aldo Grasso

Gianni Brera durante il Giro d’italia del 1976, chiamò Gimondi «Nuvola Rossa». Come il capo indiano che lottò contro la prepotenza dei coloni americani. Una storia di coraggio, di orgoglio e di umiltà. Una storia di chi deve combattere contro un conquistat­ore di nome Eddy Merckx, il «cannibale»: «Io ho avuto la sfortuna di trovare sulla mia strada Merckx». Non lo avesse incontrato, probabilme­nte il palmares di Gimondi sarebbe molto più ricco, ma la sua avventura sportiva molto meno interessan­te. Come canta Enrico Ruggeri in «Gimondi e il Cannibale»: «Rapporti che devo cambiare, lo stomaco dentro al giornale per me, e devo restare lucido. E quanta strada che verrà, ma non mi avrai; io non mi staccherò. Guarda la tua ruota e io ci sarò». Come non ricordare il Tour de France del 1965? Adorni, capitano della Salvarani, si ritira e il giovane ciclista bergamasco conquista la maglia gialla, alla sua prima esperienza al Tour: è un risultato che ha dell’incredibil­e. Durante la corsa Gimondi resiste agli attacchi di Puolidor sul Mont Ventoux e si aggiudica la cronometro di Versailles, che chiude definitiva­mente i conti e gli consegna il trionfo parigino. Poi arriva quello che divora ogni corsa. Felice lo guarda, lo studia, aspetta solo il suo momento. La vita contadina gli aveva insegnato la pazienza, la fatica aveva fatto il resto: così arriva il 1973 e il Mondiale conquistat­o allo sprint sul Cannibale (quarto). Una sorta di rivincita contro il destino. Grande faticatore, scalatore eccelso, dotato tecnicamen­te sebbene meno esplosivo dello storico rivale Merckx, Gimondi aveva una straordina­ria capacità di leggere la corsa. E proprio il campione belga ha dato di lui il giudizio più premiante: «Felice ha sempre accettato la legge della strada, la legge del più forte, spesso ero io ma tante volte è stato lui il più forte. Un uomo, un ciclista tenace, testardo, uno che non mollava mai».

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