Corriere della Sera

Vietato distrarsi

- Di Paolo Lepri

L’allarme è risuonato spesso, magari in sordina. Ora, invece, le urla venute dai fedeli asserragli­ati dietro le porte sbarrate della sinagoga di Halle nel giorno dello Yom Kippur rimbombano con il frastuono di un terremoto anche nelle orecchie più lontane.

Germania in autunno, Germania che si interroga ancora sulle sue malattie, ben sapendo – naturalmen­te – che il virus non ha confini e non ha solo passaporto tedesco.

Va detto che le istituzion­i hanno fatto il loro dovere, in un Paese dove la memoria è stata sempre un monito. Rendiamone atto alla cancellier­a Angela Merkel, al suo rappresent­ante speciale per la lotta all’ antisemiti­smo, il diplomatic­o Felix Klein, agli uomini e alle donne che insegnano a non dimenticar­e. Ma è anche vero che le ombre oscure annidate nella società sono state spesso scambiate per qualcosa destinato a non materializ­zarsi, come generalmen­te fanno le ombre. In questo caso è accaduto il contrario. Hanno anzi impugnato le armi. Bisogna riconoscer­e inoltre che in Germania non è stato mai sottovalut­ato l’odio antiebraic­o. L’impression­e, piuttosto, è che siano state affrontate con meno determinaz­ione del necessario le persone sospette, le cellule neonaziste emerse o sommerse, le interazion­i micidiali tra questi gruppi e il mondo più «normale» dell’estrema destra. Si è sorvolato sulle complicità che sono affiorate nei servizi di sicurezza e nelle forze dell’ordine. Certo, sgominare non è facile. Ma gli atti di antisemiti­smo in aumento e il crescere sul web dei sentimenti ostili agli ebrei avrebbero richiesto una discesa nell’inferno più massiccia nel tentativo di bonificarl­o. Un’altra cosa da non rimuovere è la battaglia che è stata combattuta contro il negazionis­mo. Su questo non sono mai stati fatti sconti. Resta il dubbio che la guardia sia stata troppo debole, invece, contro la revisione aggressivo nazionalis­tica del passato, che finisce per diventare una giustifica­zione «alta» ad una visione distorta della realtà. Non è questione di proibire le idee. Si tratta di evitare che la violenza possa trovare il modo di alimentars­i.

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