Addio a Penati Quando disse: «Sono malato per i processi»
Nei primi anni 2000 ruppe il monopolio del centrodestra in Lombardia
Èmorto Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano. Aveva 66 anni, era ammalato da tempo. Ex Ds, fu sindaco di Sesto. Nel 2011 l’inizio dei suoi guai giudiziari.
«Combatto. Sono in campo come un leone». Scriveva così Filippo Penati ai suoi amici fino a poche settimane fa. Combatteva contro la malattia che i medici gli avevano diagnosticato un anno fa. Ma anche contro quello che riteneva un accanimento giudiziario nei suoi confronti. L’ultimo atto risale al 25 luglio, quando la Corte dei Conti ribalta la sentenza di primo grado sull’acquisto delle quote dell’autostrada Milano-serravalle e lo condanna a risarcire 19,8 milioni di euro. Quel giorno Penati rivelò pubblicamente la sua malattia: «Un anno fa — disse allora l’ex presidente della Provincia di Milano — mi è stato riscontrato un cancro, e i medici concordano che è anche conseguenza della mia vicenda giudiziaria. Da un anno sto combattendo. Questa è la sfida più importante della mia vita».
Penati la sfida l’ha persa alle 21 e 30 di martedì. La notizia della sua morte è rimbalzata prima nella chat dei compagni di scuola e poi solo ieri all’esterno, dando vita a una dolorosa scia di commenti. Amici e avversari. Ma anche chi negli anni passati fingeva di non aver mai avuto rapporti con lui, perché il terzo dolore che ha accompagnato Penati in questi anni è stato il comportamento del partito in cui aveva militato da sempre. Pci, Pds, Ds e infine Pd. C’è voluto un secondo perché il suo nome fosse cancellato dall’anagrafe degli iscritti a cui seguì la costituzione di parte civile nei processi dove era imputato per il Sistema Sesto. Solo nel 2016 e solo dopo aver superato le vicende penali, il Pd lo invita a riprendere la tessera. Cosa che farà l’anno dopo, salvo restituirla pochi mesi fa, in disaccordo con le scelte di Zingaretti.
Eppure Penati ha rappresentato per i Ds-pd una figura di riferimento fondamentale in quel gran buco nero che è stato il Nord per la sinistra agli inizi del 2000. Il riformista Penati diventa sindaco di Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’italia. Guida la difficile transizione che ha comportato la chiusura della Falk. Affronta pragmaticamente temi con cui la sinistra litiga da tempo, a partire dalla sicurezza. Qualche suo compagno di partito lo ribattezza il leghista di sinistra. Lui va avanti per la sua strada. Diventa segretario metropolitano dei Ds ed è l’unico che riesce a spezzare la triarchia di centrodestra che regnava su Regione, Provincia
e Comune. Nel 2004 sfida Ombretta Colli, vince e diventa presidente della Provincia. Si incunea tra il potere decennale di Formigoni e il doppio mandato di Gabriele Albertini con cui ingaggia una battaglia sulla Serravalle comprando dal gruppo Gavio il 15 per cento dell’autostrada al prezzo di 8,9 euro ciascuna per quelle azioni che Gavio aveva acquistato a 2,9 euro.
Nel frattempo fa carriera nella «ditta» e nel 2009 diventa il capo della segreteria di Pierluigi Bersani. Poi i processi, le archiviazioni, le prescrizioni, le assoluzioni (in primo grado anche la Corte dei Conti). Ma per Penati il tempo della politica è finito. Scrive gialli (la sua opera postuma, «L’uomo che faceva le scarpe alle mosche» uscirà il 7 novembre), fa il volontario insegnando italiano agli stranieri, diventa presidente del Geas Basket, la squadra di pallacanestro femminile di Sesto. Scova un mecenate segreto. La salva dal fallimento. È stata il suo rifugio. Fino a mercoledì.
Tanti i messaggi di cordoglio. Zingaretti: «Mi stringo al dolore della famiglia». Bersani: «Ha sofferto molto e non solo per la malattia. Ha sofferto con grandissima dignità». D’alema: «Grande amico e uomo delle istituzioni». I suoi figli politici. Maurizio Martina: «Porto con me la sua umanità». Matteo Mauri: «Non meritava il voltafaccia del partito». Ma anche i suoi avversari. Come il governatore lombardo Attilio Fontana: «Ha valorizzato le istituzioni locali». Cordoglio anche dal mondo dell’impresa e del commercio. Carlo Sangalli: «È stato sempre vicino al mondo delle imprese». Infine il sindaco Beppe Sala, la persona pubblica che gli è stata più vicina in questi mesi: «Per me è stato solo un amico a cui ho voluto bene e che ho accompagnato nell’ultima, dolorosa, fase della sua non banale vita».