I 5 STELLE DIVISI RIPRODUCONO LE SPACCATURE NEL GOVERNO
Prima ancora di diventare un partito, il Movimento Cinque Stelle comincia a imitarne i comportamenti e le dinamiche interne. Il nulla di fatto di ieri sull’elezione del presidente dei deputati grillini con i consensi spalmati su tre candidati, è un segnale inequivocabile. Non è detto che lo sia in senso deteriore. In fondo, significa che rispetto alle votazioni digitali fortemente sospettate di essere pilotate dal vertice, questa volta emerge una vera divisione interna, sfuggita al controllo del sinedrio del M5S. Può darsi che dipenda solo dalle frustrazioni di chi è stato escluso dai giochi di governo, o magari dai malumori mai sopiti per l’alleanza col Pd.
L’esito è comunque quello di smentire l’immagine di un monolite grillino; e anzi di alimentare le voci più o meno fondate di un Movimento che rischia non solo una spaccatura ma una scissione. Per paradosso, la forza maggiore della maggioranza si dimostra in questa fase la più esposta alle tensioni esplose dopo la sconfitta di maggio alle Europee e alla nascita del nuovo esecutivo. E soprattutto, testimonia di una tendenza centrifuga e alla frantumazione che l’intero sistema politico mostra in questa fase.
Forse dipende dal fatto che col taglio di un terzo dei parlamentari, e in attesa del referendum confermativo e di una riforma della legge elettorale, il timore di un voto anticipato è diminuito. E dunque non solo i singoli partiti, ma le correnti e le fazioni al loro interno si sentono più libere di muoversi a prescindere e anche contro le indicazioni dei leader. Se si pensa alla scissione del Pd a opera dei renziani, e al nervosismo dentro Forza Italia, lo sfondo è in movimento. Anche se in realtà si tratta di un’instabilità giocata per il momento dentro più che tra le forze politiche; e in apparenza non destinata a travolgere il governo guidato da Giuseppe Conte.
Il ruolo che il premier sta cercando di ritagliarsi è sempre più indipendente dal cordone ombelicale dei Cinque Stelle. Lo si intuisce anche dal contrasto strisciante col ministro degli Esteri e capo del M5S, Luigi Di Maio. Il tentativo di quest’ultimo di usare ogni occasione per rivendicare la propria leadership va letto in direzione del Movimento e insieme di palazzo Chigi. I sondaggi che danno un Conte tuttora a alti livelli di popolarità, al contrario di Di Maio, possono avere effetti paradossali. Per questo sarà istruttivo vedere come finirà la storia dei capigruppo alla Camera e al Senato, dove si stanno scaricando i malumori verso Di Maio.
Tra i suoi lievita l’accusa di verticismo, pur avendo perso metà dei voti tra Politiche del 2018 e Europee del 2019. Sono avvisaglie di una legislatura prigioniera della paura di elezioni, e insieme incline a un trasformismo che potrebbe non bastare a salvarla. Rispetto alle premesse di un compattamento graduale della maggioranza M5S-PD, si assiste a una sua divaricazione progressiva. Con una riforma elettorale da concordare nei prossimi mesi, la domanda è se uno sfaldamento dei partiti favorirà il ritorno al proporzionale, o darà una spinta verso il maggioritario.