LA STORIA SBANDATA
TRA PUBBLICO E PRIVATO LE CONTRADDIZIONI EUROPEE NELLO SPETTACOLO-SAGA DI OSTERMEIER AL PICCOLO
L’appuntamento «Ritorno a Reims» di Didier Eribon che debutta stasera è un progetto transnazionale, prima produzione del grande regista tedesco per il teatro milanese
S olo un regista come Thomas Ostermeier, che tagliò il cordone ombelicale nel 1968, cresciuto come nipotino di Brecht, poteva pensare a uno spettacolo sulle contraddizioni della Storia e delle storie come Ritorno a Reims. Un pluriennale progetto transnazionale (diverse edizioni in Paesi europei, onore al merito del Piccolo Teatro che coproduce per l’italia) che mira al cuore, facendolo piangere e sanguinare, sull’identità politica europea così compromessa. Didier Eribon, nel suo bellissimo libro base dello spettacolo (drammaturgia di Florian Borchmeyer), esempio di «indocilità ragionata» studia profeticamente l’insensata corsa del proletariato che non si sente più rappresentato dalla sinistra, verso il fronte populista.
Didier racconta la «fuga» da Reims, che rappresenta la fabbrica, verso Parigi, che vuol dire università, dove diventerà professore di sociologia. Si chiede Ostermeier: «Come mai l’autore sente profonda la vergogna sessuale dell’essere gay e non quella sociale della famiglia operaia?». Uscirà dall’ingorgo con l’aiuto di Sartre, Foucault, Lacan e altri santoni. C’è in gioco la storia recente, la crisi della sinistra, la figura dell’intellettuale e le stesse domande che si pone la Bergamasco da noi, se le sono poste Nina Hoss in Germania e Irene Jacob a Parigi. «Chi ha tradito chi? Il libro mi affascina — dice Escobar, direttore del Piccolo — perché non è il manifesto di un partito ma si pone domande sulla classe operaia, oltre lo struggente riscatto omosessuale. Ma un viaggio di ritorno è impossibile: urge affrontare il presente».
L’analisi politica per prima ha incuriosito il grande regista tedesco, intimo di Shakespeare e Ibsen, Fassbinder, Schnitzler. «In Germania e altrove c’è stata una corsa a destra, frutto della delusione a sinistra».
Come spesso accade, ecco il cinema, arriva un video dove Eribon, divenuto professore, evitati gli sgambetti della borghesia, si racconta nei luoghi dov’è vissuto: «Torna solo dopo la morte del padre, un uomo violento, razzista, omofobo, ma comunista. Didier era in imbarazzo di fronte alla cinepresa, credo l’abbia odiata, anche per la morte della madre durante le riprese. Ma abbiamo fatto in tempo a riprenderla nella sua cucina, nonostante odiasse dalla guerra i tedeschi».
«Le prime due parti dello spettacolo — spiega il regista — sono uguali a quelle allestite altrove, ma nella terza si chiamano in causa gli attori, mostrando il loro vissuto che ho voluto conoscere con colloqui e interviste. Sono tre attori e tre persone fantastiche». Così si dibatte l’analisi sociale ad personam, nei commenti polemici dell’attrice (Sonia Bergamasco), del
Ostermeier
In ogni Paese gli attori con varie esperienze intrecciano il tessuto sociale con quello teatrale
regista (Rosario Lisma) e del tecnico del suono (il rapper nigerian-bresciano Tommy Kuti). E si sviluppa il divenire dello spettacolo, il finale senza risposta.
«Mi appassiona — dice Ostermeier —, realizzando le diverse versioni, vedere come le varie esperienze entrino a far parte del tessuto teatrale, così a Berlino, Parigi, Manchester, in America». Ogni volta il testo s’adatta al paese, reinventando il libro di Eribon secondo la cronaca. Perciò il regista ha fatto il topo d’archivio cercando spezzoni e immagini per costruire il «caso» Italia. «Ho scelto scene
Escobar
Un testo affascinante: non è il manifesto di un partito, pone domande sulla classe operaia
di cortei antirazzisti, brani di Berlinguer con i milioni di persone al funerale ed altre immagini europee; a Parigi ho girato i gilet gialli. Ma c’è il lavoro sulla pelle degli attori, straordinari nell’esprimere con semplicità la complessità, con cui ho parlato e su questi colloqui il testo è stato plasmato». Ostermeir come Freud, anche verso l’autore e la sua vergogna gay: «Questa l’ha fatto crescere socialmente e culturalmente». Il che fa pensare al passato, da Proust a Pasolini. «Pasolini, certo, la poesia sui poliziotti proletari del ’68, quando qualcuno gridava ai ragazzi: Fermatevi, tanto fra 20 anni sarete tutti notai».
Come storico deluso e incredulo, Ostermeier vuole inserire nel video anche volti dei traditori della sinistra: «In Francia potevo scegliere tra Cohn-bendit, Macron e Mitterand, ma ci sono anche Renzi, Tsipras e Zapatero, sto valutando». La destra vuole un’opposizione da combattere, qualcuno che si occupi dei deboli che la tv tedesca presenta come mostri alcolisti. Mescolando vite pubbliche e private, luoghi aperti e angoli notturni nascosti, la domanda di Ostermeier è: quanto serve la rivolta teatrale? «La morale è sapere chi parla per chi, gli esclusi hanno sempre la voce falsata dei media mentre Didier parla della riconquista del concetto di Dignità».
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