Papà da migrante a imprenditore Il figlio Max è già un difensore da primato
Papà Lin è arrivato in Italia con il gommone dall’albania per cercare fortuna nel 1996. Lui, Max, è nato quattro anni più tardi e ha fatto tutta la trafila con l’hellas Verona. Dai pulcini al primo gol in serie A. Sempre con la stessa maglia. Non ci sono più Totti e Marchisio, ma nel club dei fedelissimi a una sola bandiera da domenica scorsa c’è Maresh Kumbulla, detto Max, nato a Peschiera del Garda e diventato con il gol alla Sampdoria anche il primo difensore nato nel 2000 a segnare nei cinque principali campionati in Europa: «Qualcosa di indescrivibile, era il sogno che avevo da bambino e realizzarlo fa un certo effetto» dice lui.
Anche perché la serie A resta l’ultimo campionato in Europa nella capacità di lanciare i giocatori fatti in casa: appena il 7,4 % dei giovani di serie (ovvero quelli che militano in un club tra i 15 e 21 anni per almeno tre stagioni) ce la fanno. E dai pulcini alla serie A solo Lorenzo Pellegrini della Roma è riuscito a compiere la traiettoria di Max: «L’ho fatto giocare titolare fin dalla prima giornata perché in ritiro gli attaccanti contro di lui non segnavano mai. È già un uomo» ha detto il suo allenatore Ivan Juric, incurante del fatto che i suoi attaccanti continuino ancora a non segnare. Tanto ci pensa Max — timido, serio, «anche troppo» secondo
il padre — uno che nel Verona è arrivato quando aveva 8 anni e non è più andato via. Un po’ come Sofia Bergamini, collega di ruolo nel Verona femminile in serie A e sua ex compagna di scuola al Liceo Scientifico: sono le belle coincidenze di un calcio che cambia e riflette meglio di altre cose la realtà di tutti i giorni.
La quotidianità di Kumbulla, che da bambino aveva il poster di Chiellini in camera e ha sempre giocato difensore, adesso è fatta di Dybala, Piatek e Quagliarella: contro di loro, questo centrale della difesa a tre dei veneti, la seconda migliore dopo quella dell’inter con 5 gol subiti, ha già fatto un figurone ed è pronto ad esordire contro Turchia o Islanda con la sua Nazionale. Non quella italiana, perché l’albania allenata da Edy Reja, specializzata nel reclutare i figli della diaspora fin dalle giovanili, è stata più svelta ed è ormai la seconda casa calcistica di Max: «Io sono contento così — spiega lui — perché l’albania è il Paese della mia famiglia».
In Italia è andata comunque molto bene: i Kumbulla, arrivati come muratori, adesso hanno una piccola impresa edile e un ristorante a Peschiera. Il massimo per uno che alza muri in difesa e ha fame di crescere ancora.