Corriere della Sera

«Milan spregiudic­ato»

Il normalizza­tore: «Basta vincere, a testa alta o bassa non mi importa Alleno i giocatori, non i principi»

- Carlos Passerini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

MILANO Cento giorni dopo, stessa scena. Cambia solo il clima fuori da Casa Milan: dal caldo impietoso di luglio alla pioggia mogia d’autunno. Quella era stata la volta del «testa alta e giocare a calcio». Ci avevano, ci avevamo creduto un po’ tutti. Svanita l’illusione Giampaolo, travolto dopo solo 7 gare da qualcosa evidenteme­nte più grande di lui, tocca al normalizza­tore Stefano Pioli. A lui, al suo buonsenso, al suo equilibrio, al suo mestiere da subentrant­e, il Milan s’affida per provare a ripartire. Meglio: partire.

«Cambiamo perché pensiamo di poter ancora salvare la stagione», spiega il d.t. Paolo Maldini. Quando dice salvare, intende qualificaz­ione alla Champions. Proposito che, ora come ora, appare un filo ambizioso. Impossibil­e no, complicato sì. Di sicuro prima c’è da riaccender­e una squadra andata in tilt. Mentale e tecnico. Vanno subito rigenerati Piatek e Paquetà. Poi, a gennaio, servirà cambiare qualcosa. Rafforzars­i, Perché vincere, con soli ragazzini, è dura. Boban, seduto accanto al suo allenatore, definito con un mezza bugia «la prima scelta», che invece era Spalletti, ha lasciato intendere che qualcosa si proverà a fare.

Il progetto giovani di Elliott però non muta, non nella sostanza: il Milan era e resterà giovane e di prospettiv­a. La differenza ora la dovrà fare Pioli, che coi ragazzi ha dimostrato di saperci fare. «Voglio la Champions» ha messo in chiaro il neo tecnico, dopo aver dedicato su Milantv un pensiero ad Astori: «Sarebbe contento di sapermi qui».

Pioli, che ha firmato un biennale a un milione e mezzo più 500 mila euro in caso di Europa, con tanto di clausola che consente alla società di rescindere in caso di obiettivo mancato, ha assicurato che il suo calcio sarà diverso da quello di Giampaolo. Tre slogan. Uno: «Vincere. A testa alta o bassa non m’importa». Due: «Voglio idee, intensità e spregiudic­atezza». Tre: «Alleno i giocatori, non i principi».

Un modo chiaro per dire che s’adatterà lui agli uomini, non il contrario. La rivoluzion­e della normalità. Anche se a

Pioli l’etichetta di Normal One non piace. Così come non gli piacciono i social, che gli rovesciano addosso veleno per via della carriera poco chic: «Hanno tutti diritto di critica, per me è uno stimolo ulteriore. Io interista da bambino? Voglio essere giudicato sulla base di quello che farò, non per quello che ero a 13 anni».

Per fare ciò che intende fare, avrà però bisogno della vicinanza concreta e convinta della società, che con Giampaolo avrebbe potuto fare meglio. C’erano per fortuna tutti, ieri, a metterci la faccia. Boban, Maldini, Massara. Anche l’a.d. Gazidis. Che dopo aver sottolinea­to come Elliott abbia «salvato il Milan dalla serie D» e fatto intendere che sarà sempre più al centro del progetto, ha dettato la linea: «Vogliamo la Champions, dista solo 4 punti». Oggi sembra un oceano. Al debutto, domenica 20, arriva il Lecce. Diavolo, ci sei ancora?

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