Corriere della Sera

Quella sera in cui scoprii la verità

- di Olga Tokarczuk

Sono una bambina. Sto seduta sul davanzale circondata da giocattoli buttati sul pavimento, torri di cubi crollate, bambole con occhi sbarrati. La casa è in penombra, l’aria nelle stanze pian piano si raffredda e si fa sempre più buio. Qui non c’è più nessuno; sono usciti tutti, spariti, si sentono ancora le loro voci affievolir­si, lo strascichi­o dei loro piedi, l’eco dei passi e le risate in lontananza. (...) L’oscurità scende con dolcezza adagiandos­i su tutto come rugiada nera. (...) Non succede nulla, la marcia dell’oscurità si ferma davanti alla porta di casa, tutto il frastuono si placa e crea una pellicola spessa come quella sul latte che si raffredda. I contorni degli edifici sullo sfondo del cielo si estendono all’infinito, perdono lentamente gli angoli acuti, le sporgenze, gli spigoli. La luce che svanisce porta via l’aria, non ne rimane più da respirare. L’oscurità ora mi penetra nella pelle. Tutti i suoni si sono ritirati su sé stessi, come gli occhi delle lumache; l’orchestra del mondo se n’è andata ed è svanita nel parco.

Quella sera ho scoperto per caso il limite del mondo, giocando, senza volerlo. E l’ho scoperto perché per un attimo mi hanno lasciato sola, incustodit­a. Naturalmen­te mi sono ritrovata in trappola, bloccata. Sono una bambina, sto seduta sul davanzale e guardo il cortile freddo. Le luci della mensa scolastica sono già spente, se ne sono andati tutti. Le lastre di cemento del cortile si sono impregnate di oscurità e sono scomparse. Le porte sono tutte chiuse, le serrande abbassate. Vorrei uscire ma non saprei dove andare. Solo la mia presenza assume contorni netti che tremano e fluttuano, e mi fa male. In un attimo scopro la verità: non c’è più nulla da fare, io sono qui.

(traduzione di Barbara Delfino)

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