IL DIALOGO PROFONDO CHE SERVE ALLA DEMOCRAZIA
C aro direttore, siamo in piena rivoluzione «digitale», come oggi comunemente si dice, e ciascuno con la propria cultura e i propri interessi vi è coinvolto. Gli strumenti di questa rivoluzione sono a disposizione di tutti e ognuno se ne serve secondo la comunicazione o il messaggio che vuole lanciare. In politica ogni parte, partito o movimento lancia il proprio messaggio: un giudizio su ciò che accade, il richiamo alla propria storia e ai propri ideali, gli obiettivi programmatici che in quel momento si vogliono perseguire e così via. A questo modo, si apre un dialogo plurale con quanti raccolgono questi messaggi e rispondono: un dialogo con protagonisti inediti e assai più numerosi di quelli che una volta si potevano avere.
La realtà ci dice, però, che la vastissima platea della gente, «le moltitudini» — vien voglia di dire, data la dimensione del fenomeno — si limitano a un semplice tweet o perché non vogliono andare oltre o perché non sono in grado di farlo (è questa una constatazione che bisogna avere il coraggio di ammettere; lo ammette indirettamente l’art. 3 della Costituzione quando fissa come compito della Repubblica la rimozione di tutti quegli ostacoli economici e sociali, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua effettiva partecipazione alla vita organizzata del Paese), o perché si sentono appagate dal «botto» del tweet, trovandovi addirittura il gusto e il piacere del «gioco».
È incontenibile la voglia di stare nella straordinaria galleria della rete, accanto a nomi conosciuti in tutto il mondo: la rete, insomma, sentita come una formidabile fuoriuscita dall’insignificanza. Muore «l’uomo qualunque» — si direbbe — schiacciato dalla pressa dove Guglielmo Giannini l’aveva collocato, pieno di rabbia e di rancore contro la classe dirigente; nasce il follower, pronto agli ordini del personaggio che piace; si chiude, così, passivamente, senza alcun dialogo, l’aggancio fra l’uomo forte di tanto ascendente e il «suo popolo».
Ma se questo è il paesaggio politico che abbiamo davanti, si impone la consueta domanda: «che fare?» che fare per non perdere il valore e la ricchezza della democrazia? Siamo a una svolta insidiosa perché è insidiosa la facilità con la quale la «rete» crea vere e proprie dipendenze che escludono pause e momenti di riflessione. Non a caso è stata avvertita la necessità di ricordare L’ABC della democrazia di Guido Calogero, scritto nell’autunno del ’44 (Chiarelettere editore, 2019). Guido Calogero, uomo della Resistenza antifascista, «maestro del dialogo», come di lui disse Norberto Bobbio: un dialogo come principio morale a tutti i livelli, qualunque siano le relazioni dell’incontro e dello scambio fra le persone. Ecco perché non è civetteria culturale il richiamo a Guido Calogero. Viviamo in un momento nel quale la democrazia, di cui è chiara lettura nella Costituzione, subisce la minaccia di un falso dialogo, quello ormai generalizzato fra i «giocolieri» della tastiera digitale.
L’uso di questa tastiera è importante — sia ben chiaro — è straordinario, spalanca di continuo spazi nuovi alla convivenza civile; serve anche alla politica perché consegna al leader di riferimento, come si è visto, un consenso gratuito, inaspettato. Ma proprio per questo ambiguo; manca, infatti, la fatica della costruzione democratica con il dialogo
Comunità Esistono beni, come la «cura del pianeta», che sfuggono a qualsiasi presa individualistica
continuo e l’ascolto della parola significante, che pare non esistere più. Questo dialogo, invece, c’è nell’area estesa del volontariato fra persone che partecipano ogni giorno a mille iniziative di solidarietà e di cura di beni comuni. Per rimontare la china bisogna partire proprio dalla constatazione che esistono beni che, per loro natura, sfuggono a qualsiasi presa individualistica o nazionalistica che sia; beni universalmente comuni, come la «cura del pianeta» di cui parla, con felicissima espressione, papa Francesco.
Già in tutto il mondo si dialoga su questi temi, e vengono alla ribalta i giovani; essi, quando avvertiranno che le relative decisioni si prendono (o dovrebbero prendersi) nell’area della politica comprenderanno che anche la libertà e la democrazia sono beni comuni e ne avranno cura, se lo vorranno, nei rispettivi partiti divenuti più aperti e credibili