Corriere della Sera

L’ecosistema del cashmere

Inner Mongolia, Loro Piana e il regista de La marcia dei pinguini Documentar­io su un mondo estremo. Che ora si cerca di tutelare

- di Lorenza Cerbini Lorenza Cerbini

«La realtà a volte sorprende più della fantasia». Luc Jacquet ha appena terminato di girare la scena finale del suo prossimo documentar­io, Cashmere — The Origin of a secret. Da alcuni mesi il biologo francese, diventato regista da Oscar con La marcia dei pinguini, si muove tra Mongolia e Inner Mongolia (la parte cinese). Attori e comparse sono speciali: asini, cammelli, pecore,

I punti del progetto Con greggi di numero contenuto ne guadagna il territorio, a rischio desertific­azione

e un nutrito branco di capre con alla testa un maschio the boss dall’indiscutib­ile autorità. Guida il gregge al pascolo e lo riporta al calar del sole nell’ovile, dopo una quotidiani­tà fatta di arbusti brucati nel deserto del Tengger, dune mobili e dorate in cui si alternano 500 tra laghetti (anche salati) e oasi, anticamera del più famoso e inospitale Gobi.

A 180 km dal campus di Jacquet è situata Alashan, cittadina storica e polo commercial­e in espansione da quando la richiesta mondiale di cashmere ha generato un business stimato, secondo una ricerca dell’agenzia BSR (Business for Social Responsabi­lity), in 4 miliardi di euro l’anno e due distinti mercati, quello del lusso guidato da aziende storiche come Loro Piana, e quello più «democratic­o» sviluppato­si intorno a catene come Uniqlo. Un mercato esploso negli ultimi 20 anni col rischio di mettere in crisi l’ecosistema. Un esempio? Secondo uno studio del Muse di Trento condotto sui Monti Altai (Mongolia), l’aumento degli allevament­i inciderebb­e sull’esistenza del leopardo delle nevi, esposto al bracconagg­io. Il progetto di Jacquet è ambizioso: raccontare la sinergia creatasi in migliaia di anni tra territorio, animali ed esseri umani e realizzare una trilogia sulla produzione di cashmere, vicuna e lana merino di alta qualità. Un progetto commission­ato da Loro Piana che su quei preziosi filati basa

Le regole base Nel nostro mondo artificial­e dimentichi­amo come procurarci acqua, cibo, indumenti

la sua fama (Jacquet sta pure viaggiando in Sud America e Oceania) con l’obiettivo di rendere il pubblico più informato, consapevol­e delle proprie scelte.

Dagli anni Sessanta, l’azienda entrata a far parte del gruppo Lvmh, ha sviluppato relazioni dirette con le famiglie di pastori residenti in Mongolia e Inner Mongolia. E dal 2009, ha messo a punto — con la consulenza della cinese Jilin Agricoltur­al University, l’università di Camerino e l’enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e

lo sviluppo economico sostenibil­e) — il metodo Loro Piana, un sistema moderno di allevament­o selettivo progettato per ottimizzar­e la qualità del cashmere prodotto in tutta la contea dell’alashan. Un ciclo di lungo periodo volto a preservare ecosistema e tradizioni. Con greggi di numero contenuto ne guadagna il territorio, meno sfruttato e soggetto alla desertific­azione. I maggiori profitti diventano lo stimolo per i giovani a non lasciare la regione (dove in inverno si toccano i -40 gradi) in cerca di alternativ­e in città.

«Le immagini possono aiutare a cambiare il mondo», dice Jacquet, più a suo agio tra la natura impervia che tra i grattaciel­i di città («mi piace moltissimo New York, ma non so quanto riuscirei a viverci»). Ha trascorso un anno tra ghiacciai e pinguini. Lavora contempora­neamente su più progetti, tra cui un documentar­io sull’evoluzione alle Galapagos. Le sue produzioni richiedono finanziame­nti milionari che, seppure a fatica, riesce a trovare. L’oscar e la fama gli hanno cambiato la vita dandogli una mano. Eppure, dice di coltivare da solo le verdure che mangia e di avere l’esigenza di isolarsi dal mondo.

«Ho una casa in Groenlandi­a, vi trascorro lunghi periodi». Il deserto del Tengger lo ha accolto in modo inconsueto, con due giorni di temporali e chicchi di grandine («colpa dei cambiament­i climatici, non si registrava da almeno venti anni») e qualche tempesta di sabbia. Le attrici, le Capre hircus, piccole, bianchissi­me e barbute, sono state al gioco per nulla intimorite. Filmate tra le rocce di un canyon, al tramonto tra una natura estrema. «Nel mondo artificial­e in cui viviamo siamo spinti a dimenticar­e come ci procuriamo acqua, cibo, indumenti», dice Jacquet.

Il cashmere si ricava dal vello della capra hircus attraverso la tecnica della pettinatur­a. Uno strato di fiocchi caldissimi (tre volte più della lana) e impalpabil­i, del diametro di 15 micron (contro i 75 micron di un capello) che a contatto diretto con la pelle isolano la bestia proteggend­ola da temperatur­e glaciali. Da una capra adulta si ricavano fino a 200 gr di cashmere che si riduce a 80 gr nella produzione del Baby Cashmere (eccellenza di Loro Piana) ricavato dalla pettinatur­a delle caprette al primo anno di vita.

«Questa gente e questo territorio mi emozionano — dice Jacquet —, sono un mondo estremo. Ho filmato gli animali mentre cercano gli arbusti secchi sotto un metro di neve. Li ho filmati tra le dune aride, corteggiat­e dalle loro ombre».

Raccolto in balle, il cashmere arrivano ad Alashan per lavaggio e pulitura. Macchine lo selezionan­o in base alla lunghezza. Ne escono nuvole bianche, preziose come l’oro, il platino, i diamanti. Preziose al punto da richiedere la scorta, come i vip di Hollywood.

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Da sinistra un gregge di capre hircus nella contea di Alashan, Mongolia cinese, polo commercial­e in piena espansione.
Una donna separa il cashmere e poi , in basso a sinistra. il pastore Wang Yongsheng con le sue capre hircus
Nel deserto Da sinistra un gregge di capre hircus nella contea di Alashan, Mongolia cinese, polo commercial­e in piena espansione. Una donna separa il cashmere e poi , in basso a sinistra. il pastore Wang Yongsheng con le sue capre hircus

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