Corriere della Sera

CERCANDO UN’IDEA DI PAESE

Le ambizioni della maggioranz­a Solo con progetti forti su lavoro, autonomia del Nord e ripresa del Sud, scuola e giustizia l’esecutivo metterà radici nell’opinione pubblica

- Di Aldo Cazzullo

Nessun governo può avere come unico orizzonte allontanar­e il più possibile le elezioni ed eleggere il presidente della Repubblica. L’obiettivo di un’alleanza non può essere solo tenere a bada il comune nemico.

Il governo Pd-5 Stelle è nato in tutta fretta, ma è partito piano. Anche troppo. Discussion­i sulle merendine. Una spy-story che prima viene chiarita meglio è, a cominciare dai sospetti incrociati tra Conte e Renzi di aver usato i servizi segreti pro e contro Trump. Una manovra poco ambiziosa, da ordinaria amministra­zione. E segnali di freddezza tra leader e leaderini; come se la bussola della vita pubblica continuass­ero a essere gli interessi personali, gli stessi che hanno portato alla coalizione gialloross­a.

Quando Salvini ha rotto l’alleanza aprendo la crisi di agosto, tutto lasciava credere che le elezioni sarebbero state inevitabil­i. Il primo a scartare è stato il più interessat­o a evitare il voto, Matteo Renzi, proponendo — proprio lui, il nemico dei 5 Stelle un «esecutivo istituzion­ale» che su 5 Stelle e Pd si sarebbe dovuto inevitabil­mente reggere. Il secondo è stato Beppe Grillo, liquidando Renzi come «avvoltoio tentatore» ma di fatto benedicend­o il suo disegno. A quel punto Zingaretti ha realizzato di non poter lasciare che la situazione precipitas­se verso la scontata vittoria di Salvini.

Anche in questa circostanz­a, il Pd si è proposto come partito «di sistema».

Poco importa, dal punto di vista dei suoi dirigenti, se supera il 40% o crolla sotto il 20: noi — ragionano — siamo gli unici che l’europa considera affidabili, siamo gli interlocut­ori naturali di Merkel e Macron; già il nostro ritorno al governo tranquilli­zza i mercati e gli alleati. Il che, a guardare lo spread e i toni flautati di Bruxelles, potrebbe anche rivelarsi vero. Ma non basta. Non basta a un Paese a crescita zero, da cui continuano ad andarsene troppi giovani diplomati e laureati a spese del contribuen­ti, e in cui continuano ad arrivare troppi disperati facile preda del crimine organizzat­o o degli affaristi in nero.

Un governo dovrebbe avere un’idea di Paese. Un progetto condiviso per costruire l’italia del 2023. Idee forti sul lavoro, sull’autonomia del Nord e la ripresa del Sud, sulla scuola, sulla giustizia. Soltanto così il governo potrà mettere radici nell’opinione pubblica e reggere la guerriglia di Salvini; che appare ancora frastornat­o dagli eccessi estivi, ma conserva un ampio consenso, e ora ha conquistat­o un postochiav­e come la presidenza del Copasir, il comitato che controlla i suddetti servizi segreti.

I 5 Stelle non appaiono interessat­i a fare chiarezza sul futuro di quel neonato così gracile che è il secondo governo Conte. Ieri Casaleggio e Di Maio hanno respinto seccamente la mano tesa di Zingaretti, che intervista­to da Lilli Gruber aveva aperto a una vera alleanza politica. Un rifiuto legittimo, per carità. Ma il Movimento oggi appare dilaniato all’interno, scettico sul futuro, incerto sul proprio destino. Non si capisce se comandino Conte o Di Maio, Grillo o Casaleggio. Se Di Battista sia dentro o fuori, se le richieste di Fico saranno accolte. Se l’esperiment­o umbro — un candidato «civico» comune con il Pd — rappresent­i uno schema o un azzardo. Inle somma, i grillini non sono riusciti né sembrano intenziona­ti a dare un contenuto politico-culturale alla svolta con cui in cinque giorni sono passati da Salvini alla Boldrini, dalla Lega alla sinistra.

Il prossimo sarà il weekend di Renzi. Alla Leopolda farà quello che gli riesce meglio: conquistar­e la scena, lanciare nuove parole d’ordine, suscitare entusiasmi e inquietudi­ni. Ma la sua ansia di visibilità è destinata a indebolire ulteriorme­nte un esecutivo che sembra reggersi sull’antico motto di Andreotti: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Poi venne il 1992, e la nostra piccola rivoluzion­e italiana.

La premessa per costituire un ciclo politico duraturo, anziché limitarsi a prendere tempo in attesa dell’ineluttabi­le arrivo dei barbari, sarebbe una manovra finanziari­a coraggiosa. Quella annunciata si limita a non aumentare l’iva. Scelta necessaria, ma non sufficient­e. Nella vita delfamigli­e non cambierebb­e nulla. Serve ben altro per scuotere il Paese dalla crescita zero. Gli industrial­i lombardi, che hanno accolto Conte con educazione ma senza convinzion­e, hanno indicato la strada: meno tasse e meno assistenzi­alismo, più investimen­ti e più incentivi per chi vuole lavorare di più. Detassare gli aumenti salariali sarebbe un segnale interessan­te; certo migliore di qualsiasi misura parametrat­a sui redditi dichiarati, che finirebbe per punire la fedeltà fiscale e premiare gli evasori che si vorrebbero combattere.

L’italia della fine degli Anni Dieci resta un Paese di cattivo umore, con poca fiducia in se stesso. Ma non è un malato inguaribil­e. È un paziente che ha bisogno di uno choc: tagli al fisco oppressivo e alla burocrazia che si autoalimen­ta, investimen­ti sulla formazione e sulle infrastrut­ture, per consentire alle famiglie di spendere di più e alle imprese di competere meglio.

Questo non significa sottovalut­are il peso del debito pubblico. Ma, con il calo dei tassi e la crescita del debito in quasi tutti i Paesi europei, la nostra priorità — più dei tagli — dovrebbe essere la crescita. O, meglio, il lavoro. Che porta con sé la vera crescita, che non è solo economica ma morale. Dopo la guerra vennero prima la ricostruzi­one e poi il boom. Dopo la lunga crisi non può venire sempliceme­nte un’altra crisi, economica e politica. Gli italiani meritano molto di più. Non basta tagliare i seggi per trasformar­e una casta in classe dirigente.

La scossa necessaria Occorrereb­be una manovra finanziari­a coraggiosa: quella annunciata si limita a non aumentare l’iva

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