Nello stadio demolito Jonjo salva i mattoni (con i nomi dei tifosi)
Ne ha raccolti mille. E li ridà ai fan del West Ham
«Jonjo fa un sacco di cose un po’ pazze», dice orgogliosa la mamma alla Bbc. Una è ben visibile dalla finestra della loro cucina: una distesa di mille mattoni. Jonjo Heurman ha 17 anni (è nato un anno e un giorno prima di Greta Thumberg) e due passioni grandi: il calcio e la beneficenza. Ha cominciato a raccogliere fondi per la lotta contro il cancro a otto anni, quando la nonna è morta per un tumore all’intestino: per attirare l’attenzione ha camminato dallo stadio dell’arsenal a quello del West Ham, la sua squadra del cuore. L’ha fatto per la Fondazione Bobby Moore, che fu il capitano degli Hammers (i Martelli) nonché della Nazionale inglese che vinse i Mondiali nel 1966. Jonjo vuole fare il cuoco, ma per il momento va a scuola e fa il fundraiser. Anche Moore morì per lo stesso tumore che ha portato via la nonna, e così lui da anni raccoglie fondi (oltre 400 mila euro in totale) «per Nanny e per Bobby».
Le aste di beneficenza sono la sua specialità. Nel 2017, quando a Londra cominciano a demolire il glorioso Boleyn Ground, il tifoso Jojo chiede in regalo un paio di seggiolini del vecchio stadio del West Muro Jonjo Heurman, 17 anni, con la mamma Donna e sullo sfondo alcuni mattoni salvati dallo stadio. Jonjo li vuole ridare alle famiglie dei tifosi che li hanno «firmati» Ham. I demolitori lo accontentano e gli raccontano anche di quel muro dove ogni mattone ha un nome. Dispiace distruggerlo, anche se loro sono tifosi dell’arsenal. Che fare? Jonjo lo sa benissimo: salvare i mattoni. Su 1.400, ne recupera mille. Prima vengono riposti in un magazzino. E quando il club dei tifosi chiude, Jonjo sa a chi rivolgersi: «Mamma, possiamo metterli in giardino?».
Il padre mugugna, ma non è questo il motivo per cui Donna Heuerman e suo figlio cominciano a distribuire i mattoni a mezzo mondo (persino in Australia). Era l’idea iniziale: ridarli ai legittimi «proprietari». Ma qualcuno li vorrà? Jonjo apre una pagina Facebook e la risposta è travolgente. La gente scrive. Quando posso riavere il nostro mattone? Ognuno è diverso, nel muro che non c’è più. Un nome, un’iniziale, un messaggio come «Super Dad» o «Life Hammer». Tanti mattoni, tante storie, tenute insieme dalla «malta» del calcio come collante di vita.
Anziché consegnarli uno per uno, organizzano una giornata ogni tre o quattro mesi. Così facendo, cinquanta alla volta, ne hanno distribuiti quasi due terzi. La pila in giardino diminuisce (anche se non abbastanza per i gusti del papà: «Se non vi sbrigate, ci faccio un bel barbecue»). La distribuzione è un’occasione di incontri, gioiosi, commoventi. Tra le prime persone a scrivere, una signora di 65 anni, Cathy Finlayson. Cerca un mattone con il nome di un bambino: Jack Russell. «Ce l’abbiamo», risponde Jonjo. La consegna è un’emozione. La nonna racconta che Jake aveva 6 anni e giocava nei pulcini del West Ham. Un giorno andò con la mamma a mostrare a un amico gli autografi dei giocatori della prima squadra. Un’auto lo travolse. La famiglia chiese un mattone commemorativo per il suo pulcino. Sono passati 19 anni e la nonna racconta alla Bbc: «Quando l’ho avuto tra le mani», non era un mattone, un pezzo di muro. «Era come se mi avessero ridato una parte di Jake».